Allo European Cancer Congress, recentemente conclusosi ad Amsterdam, sono stati presentati gli incoraggianti esiti emersi da studio clinico multicentrico di Fase II in cui è stato sperimentato il farmaco vemurafenib nel trattamento di un gruppo di pazienti affetti da forme metastatiche o non operabili di carcinoma papillare della tiroide associato alla mutazione V600E del gene BRAF e resistente alla terapia a base di iodio radioattivo (RAI, radioactive iodine). La risposta a vemurafenib, che ha complessivamente dimostrato una promettente attività antitumorale, si è rivelata migliore nei pazienti naive agli inibitori della tirosin-chinasi (TKI), piuttosto che in quelli precedentemente sottoposti a trattamento mediante TKI. La notizia è stata pubblicata online su Pharmastar.
Vemurafenib è un inibitore selettivo della proteina BRAF modificata a seguito della mutazione V600E dello stesso gene BRAF. Il farmaco è già stato approvato dall’FDA e dall’EMA per il trattamento dei pazienti con melanoma metastatico positivo alla mutazione BRAFV600E.
Circa il 50% dei pazienti affetti da carcinoma papillare della tiroide, il più comune tumore maligno tiroideo, è portatore della mutazione oncogenica BRAFV600E, la cui presenza comporta una prognosi decisamente sfavorevole.
Nello studio sono stati coinvolti 51 pazienti, 26 dei quali naive ai TKI, mentre i restanti 25 erano già stati trattati con questo tipo di farmaci. Ai partecipanti, vemurafenib (960 mg) è stato somministrato per via orale due volte al giorno. Obiettivo primario dello studio era la valutazione del miglior tasso di risposta complessiva (BORR), definito in base ai criteri RECIST, nel gruppo dei pazienti naive ai TKI.
Gli obiettivi secondari erano il BORR nel gruppo dei pazienti pretrattati con TKI, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS) in entrambi i gruppi di partecipanti.
L'analisi dei dati ha dimostrato un BORR del 35% nei pazienti naive ai TKI e del 26% in quelli già trattati con TKI. Inoltre, il tasso di beneficio clinico complessivo (definito dalla somma delle risposte complete, di quelle parziali e dell'indice di stabilizzazione della malattia), è risultato essere, dopo 6 mesi di trattamento mediante vemurafenib, del 58% nel gruppo dei pazienti naive ai TKI e del 36% nel gruppo di quelli precedentemente trattati con TKI.
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