Per ora si parla di test supersensibili per leucemia mieloide cronica, cancro del colon-retto e glioma. Le sperimentazioni in tutta Europa, presentate durante il Nano World Cancer Day
E’ la nanomedicina, ovvero le nanotecnologie applicate alla pratica clinica, una delle strade più promettenti per la lotta contro il cancro. A parlarne – e a presentarla, per chi non ne avesse ancora sentito parlare - sono stati i ricercatori di 13 paesi europei riuniti nella European Technology Platform of Nanomedicine, nel corso della conferenza satellitare svolta, in Italia, presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano in occasione del Nano World Cancer Day. Il progetto, finanziato dalla Comunità Europea insieme ad altre iniziative volte a promuovere la crescita del settore, include diverse sperimentazioni che sfruttano le potenzialità di dispositivi tecnologici molto piccoli (da 1 a 100 nanometri, ovvero milionesimi di millimetro) per consentire diagnosi precoce e facilitare il trasporto di farmaci nei pazienti.
Le applicazioni, al momento, sono limitate al ristretto numero di neoplasie finora oggetto di studio, ma lasciano intuire di poter essere replicate, come modello, anche in altri tumori. Un esempio sono proprio due degli studi in corso, che condividono la stessa nanotecnologia: particelle d’oro che individuano nel sangue del paziente i segnali di tumore, rendendoli visibili anche quando sono presenti in minima quantità come negli stadi iniziali della malattia o di una recidiva.
In un caso, sono state utilizzate come test ‘supersensibile’ per il marcatore WT1 nella leucemia mieloide cronica: il dottor Fabio Ciceri, coordinatore del team della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor che lo ha sviluppato, ha sottolineato la potenzialità di una diagnosi precoce, ancora prima che il paziente manifesti i primi sintomi. Una prospettiva che, se e quando applicabile di routine, potrebbe migliorare la prognosi associata alla malattia e essere sfruttata anche per monitorare la comparsa di recidiva. La capacità di amplificare il segnale delle particelle d’oro è stata testata anche dal gruppo della dottoresa Manuela Gariboldo, dell’IFOM/Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, in collaborazione con i ricercatori del professor Pier Paolo Pompa dell’Istituto Italiano di tecnologia di Lecce: nei casi di cancro del colon-retto, sono in grado di individuare DNA tumorale nel sangue dei pazienti. Le nanoparticelle si legano a KRAS, un oncogene presente nel 45% dei pazienti.
Le nanotecnologie potrebbero dare una svolta positiva anche per l’elaborazione di test precoci per tumori cerebrali, consentendo l’analisi di DNA su nanogoccioline di liquido spinale. I marker tumorali potrebbero anche diventare, in seguito, bersaglio per terapie mirate.
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