La Sensibilità Chimica Multipla (MCS) è una malattia che pochi conoscono e che la maggior parte dei medici riconosce con difficoltà. La malattia si caratterizza infatti per una serie di sintomi differenti, che possono colpire ogni organo, e le sue manifestazioni sono estremamente differenti da persona a persona e infatti il nome stesso dato alla patologie è piuttosto generico. I sintomi più frequenti, ed altamente lesivi della qualità della vita del paziente, fino all’invalidità, sono quelli di tipo allergico come difficoltà respiratoria, nausea, emicrania, dermatiti da contatto, vertigini, ipersensibilità agli odori e manifestazioni, talvolta anche gravi a livello neurologico, come sdoppiamento della personalità e amnesia.
Con il tempo, soprattutto se l’esposizione alla sostanza continua, la malattia produce nell’organismo effetti irreversibili e può portare addirittura allo sviluppo del cancro, di malattie autoimmuni e all’ictus.
Proprio la presenza dei sintomi neurologici, accompagnata dal fatto che nei pazienti non venivano riscontrate allergia, ha per molto tempo indotto a indirizzare queste persone verso cure psichiatriche ma solo in alcuni casi trattamenti con gli antidepressivi hanno dato buoni risultati. Oltre alla varietà dei sintomi e della loro gravità a rendere più difficile la diagnosi – e anche a rendere assai difficile una vita normale – è il fatto che a causarli possono essere sostanze molto differenti tra loro e di uso estremamente comune come la candeggina, detergenti, profumi, saponi, pesticidi e prodotti da giardino, ma anche gas di scarico, micropolveri e campi elettromagnetici accentuati. Per molti pazienti diventa difficile trovare anche un ambiente adeguato in cui vivere poiché l’installazione di un ripetitore telefonico, la presenza di un benzinaio o di molto traffico o di altre comuni attività commerciali vicine può rendere la vita insopportabile.
Spesso i sitomi si accompagna a stati ansiosi e depressioni,  ma è difficile ancora stabilire se questi facciano veramente parte della malattia o siano piuttosto una conseguenza del timore continuo di entrare in contatto con le sostanze e la difficoltà a condurre una vita normale. Attualmente l’ipotesi tenuta in maggior considerazione, scartata ormai quella che si tratti di un problema di tipo psichiatrico, è che  la malattia sia causata da una ridotta capacità di metabolizzazione delle sostanze xenobiotiche a causa di una carenza genetica o della rottura dei meccanismi enzimatici di metabolizzazione a seguito della esposizione tossica.
Attualmente la patologia non è inserita tra quelle riconosciute come esenti dal nostro sistema sanitario nazionale tuttavia alcune regioni - per l'esattezza Toscana, Emilia Romagna e Abruzzo - grazie all'autonomia in materia, hanno dato alla malattia questo riconoscimento.

Vista la grande difficoltà nel diagnosticare la malattia e la recente considerazione che le è stata data è molto difficile fare una stima della sua reale presenza nella popolazione. Tra gli esperti italiani ci sono il  prof. Giuseppe Genovesi medico specialista in endocrinologia, psichiatria e immunologia e ricercatore presso il Policlinico Umberto I di Roma, il prof. Alessio e il Prof. R. Lucchini degli Spedali Riuniti di Brescia, il Prof. Tirelli, direttore del Centro Oncologico di Aviano, il dott. Cipolla dell’Ospedale S.Orsola Malpighi di Bologna, il Prof. Carrer dell’Università di Milano, il dott. Arcangeli e il dott. Rossi dell’Ospedale Careggi di Firenze.

La Sclerosi Laterale Amiotrofila (SLA) è una malattia neurodegenerativa che compare nella maggior parte dei casi dopo i 50 anni e porta ad una degenerazione dei neuroni di moto o motoneuroni. La malattia è conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, dal nome del famoso giocatore americano di baseball che ne fu colpito, o come malattia di Charcot dal nome del neurologo francese che per primo la descrisse nel 1860. Nella maggior parte dei casi, oltre il 90 per cento, la malattia è sporadica e sulle sue cause non c’è ancora certezza nonostante negli ultimi anni siano stati compiuti numerosi studi e siano state avanzate molte ipotesi. Il  5 – 10 per cento dei casi sono invece di Sla familiare, presentano cioè dei precedenti in famiglia. La sua incidenza è di circa 1 – 3 casi ogni 100.000 abitanti all’anno. Attualmente in Italia non si conosce il numero esatto di malati poiché non sono stati ancora completati i relativi registri. Tuttavia si stimano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi all’anno con una forte concentrazione il Lombardia, seguita da Campania, Lazio e Sicilia anche se questo potrebbe dipendere in buona parte da una maggiore capacità di diagnosi delle strutture ospedaliere locali.

L'ipertensione arteriosa polmonare (IAP) è una malattia rara, progressiva, caratterizzata da pressione sanguigna pericolosamente alta – cioè superiore a 25 mmHg - e resistenza vascolare. Le alterazioni strutturali dei vasi sanguigni creano infatti un'aumentata resistenza al flusso del sangue pompato dal cuore. e questo determina un progressivo affaticamento per il ventricolo destro che può culminare nello scompenso cardiaco anche mortale. Più in generale i sintomi sono affanno, vertigini e stanchezza. L'IAP colpisce circa 100.000 persone in tutto il mondo ed è riscontrabile più comunemente nelle donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni. In Italia secondo le stime i pazienti con IAP severa sarebbero circa 2.000 ma dare un numero esatto non è possibile anche perché, vista l’aspecificità dei sintomi, possono esserci molti casi di malattia non diagnosticati. In genere il metodo migliore e non invasivo per diagnosticare la malattia è l’ecocardiogramma. La malattia può comparire isolatamente, e si parla allora di forma idiopatica o primitiva (PAH), oppure essere causata o correlata con altre patologie come ad esempio cardiopatie, HIV o malattie reumatiche. Inoltre occorre distinguere tra la PAH familiare causata dalle mutazioni del gene BMPR2 oppure sporadica.
Fino a pochi anni fa l’unica soluzione, e praticata solo in casi estremi, era quella del trapianto di polmoni o cuore-polmoni. Oggi ci migliori possibilità di trattamento che possono rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita. Questi farmaci specifici per l'ipertensione polmonare tendono a correggere un difettoso funzionamento delle cellule che costituiscono la parete del vaso polmonare. Tuttavia per i pazienti in cui la progressione non si arresta tutt’ora il trapianto rimane l’unica soluzione.
Fonti e ulteriori informazioni sul Orphanet

La malattia di Huntington (HD) è una patologia rara, di tipo ereditario e degenerativo, che può definirsi ‘ipercinetica’ per il fatto di comportare, come principale ed iniziale sintomo, quello di movimenti continui e scoordinati, ma anche disturbi cognitivi e del comportamento il cui esordio avviene intorno ai 40-50 anni. Nelle fasi avanzate della malattia il malato perde la capacità di parola e le funzioni motorie diventando in tutto e per tutto dipendente dalle cure degli altri.
La trasmissione della malattia è caratterizzata da una ereditarietà molto forte tanto che chi ha un genitore affetto dalla malattia ha il 50% di possibilità di svilupparla in età adulta. Attualmente la MH ha una prevalenza di circa 3 - 7 casi per 100.000 abitanti con discendenza europea occidentale. Si stima che in Italia siano circa 6000 le persone ammalate e 18.000 quelle a rischio di ereditare la malattia.

La sindrome da distress respiratorio (Respiratory Distress Syndrome - RDS) è il termine usato per descrivere una condizione che si verifica nei neonati prematuri e che causa insufficienza respiratoria: parliamo dunque di una sindrome dispnoica. Quando ci si riferisce all’RDS si parla di un quadro di sintomi più che di una malattia: le causa infatti possono essere differenti anche se in genere per questa sindrome la causa si può ricondurre alla Malattia delle Membrane Ialine (MMI). La patologia è determinata da una carenza a livello polmonare del "surfattante", ossia di quella sostanza tensioattiva prodotta dal polmone che impedisce il collasso degli alveoli polmonari durante gli atti respiratori.

La talassemia è una malattia che fa parte delle emopatie ereditarie recessive, è caratterizzate dalla ridotta o assente sintesi dell'emoglobina che comporta un difetto di trasporto dell'ossigeno ed ha carattere degenerativo. La talassemia è molto diffusa nelle zone mediterranee come l'Africa, la Spagna meridionale, la Sicilia e la Sardegna dove c'è un tasso di talassemia pari al 12 per cento.

L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che comporta problemi più o meno gravi legati alla coagulazione del sangue e si manifesta solo nei maschi mentre le donne possono essere portatrici sane. Questo perché si tratta di una condizione emorragica che si eredita attraverso il cromosoma X (x-linked) ed è caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. Sarebbe tuttavia più corretto parlare di ‘emofilie’ - al plurale - poiché ne esistono principalmente due forme  - Emofilia A ed Emofilia B: la prima è dovuta alla carenza di Fattore Otto (VIII) mentre l’Emofilia B alla carenza di Fattore Nove (IX). La prevalenza è 1 caso ogni 10.000 per l’Emofilia A, che è dunque il tipo più diffuso, e 1 caso ogni 30.000 per l’Emofilia B. Le manifestazioni sono simili ed in entrambe i casi e più che dal tipo dipendono dalla gravità della malattia che viene determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante.  
Se il valore dell’attività del fattore coagulante è minore all’1% di parla di emofilia grave, se la percentuale di attività è tra 1 e 5 si parla di emofilia moderata e se invece è tra il 5% e il 40% si parla di emofilia lieve, tanto per il tipo A che per il tipo B.
In genere le persone affette da emofilia oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico presentano anche altre complicanze correlate alla malattia. Nei soggetti che hanno una emofilia grave ad esempio, che provoca con frequenza e anche in assenza di traumi significativi delle emorragie, che spesso si manifestano negli arti (come il gomito, il polso o magari la caviglia), se non adeguatamente trattati fin dall’infanzia possono portare ad artopatia cronica che causa rigidità e deformazione dell’articolazione. Anche se minore in caso di trauma  il soggetto emofilico può rischiare anche emorragia cerebrale. Diffuse sono anche le emorragie muscolari, che possono dare gravi difficoltà nel movimento, e ancora emorragie gastro-intestinali (ematemesi, melena, proctorragia), emorragie in cavità (emotorace, emoperitoneo, emopericardio), emorragie dell’oro-faringe, emoftoe, epistassi, ematuria, emorragie oculari, ematomi spinali. Sebbene rare, alcune di esse sono urgenze mediche, che devono essere diagnosticate e trattate precocemente specie se possono mettere in pericolo le funzioni vitali (es: emoftoe, emorragie lingua e collo ecc).
Attualmente nel nostro paese ci sono circa 50 Centri Emofilia. In alcune regioni, come in Emilia-Romagna, sono organizzati in una rete secondo il modello ‘Hub and Spoke’ e utilizzano una stessa cartella clinica ambulatoriale ‘web-based’ che contiene i dati salienti di tutti i pazienti.
I malati di emofilia provengono praticamente sempre da famiglie con una familiarità verso la malattia e questo rende più facile la diagnosi nel caso in cui si manifestino emorragie di una certa entità con lenta risoluzion e si riscontri un allungamento dell’aPTT in corso di esami ematochimici (nella norma invece risultano il tempo di protrombina (PT), il tempo di emorragia e la conta piastrinica).  Per arrivare alla diagnosi definitiva si fa il dosaggio dei due fattori coagulanti otto e nove e, attualmente, viene eseguita anche la ricerca della specifica mutazione genica che porta alla malattia, alle donne può fatta la diagnosi di portatrice sana, mentre le tecniche di diagnosi prenatale vanno affinandosi sempre più sia in precisione che in precocità e sicurezza per il feto.
Attualmente il trattamento dell’emofilia avviene attraverso la somministrazione del fattore coagulativo carente nel momento dell’insorgere dell’emorragia:  più precoce è il trattamento migliore è il risultato. I due principali regimi terapeutici sono: la terapia “on demand” (a domanda) e la profilassi.
La cura dell’emofilia ha avuto grandi sviluppi negli ultimi decenni; nei paesi più evoluti come l’Italia, da anni ossia da quando sono disponibili in commercio i concentrati, viene largamente utilizzata l’autoinfusione domiciliare. L’utilizzo da parte dei pazienti di questi farmaci ad altissimo costo, avviene sotto la guida e il controllo periodico dei centri emofilia.
In molte regioni italiane, dal 1976, il trattamento domiciliare è stato reso possibile grazie a leggi regionali ad hoc che permettono, dopo idoneo corso di formazione, di abilitare i pazienti e/o i loro assistenti ad eseguire la terapia a domicilio senza la presenza del personale sanitario.
I Centri Emofilia organizzano periodicamente corsi di autoinfusione domiciliare, rilasciando un patentino di autorizzazione.
Il corso di addestramento, inoltre, permette al paziente e a chi lo assiste di acquisire una maggiore conoscenza della patologia, delle possibilità di terapia e quindi porta ad una migliore collaborazione con i medici per un’ottimale gestione della malattia.
L’autoinfusione fornisce al paziente la possibilità di un trattamento tempestivo degli episodi emorragici (aumentando la possibilità di risolvere prontamente l’emorragia) e consente l’esecuzione a domicilio della profilassi e dell’immunotolleranza.
I pazienti che eseguono l’autoinfusione hanno il dovere di registrare le infusioni praticate (data e ora di infusione, tipo di concentrato, unità infuse, numero dei lotti) e gli episodi emorragici (data, ora di insorgenza dell’emorragia e di risoluzione, giorni persi di lavoro/scuola). Inoltre devono sottoporsi a periodici check-up presso il Centro Emofilia.
Per le fonti, la classificazione e ulteriori informazioni Orphanet

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