Le persone colpite da una malattia rara e poco conosciuta come l'angioedema ereditario (HAE) sono troppo spesso costrette a subire un lungo e frustrante percorso diagnostico e terapeutico, costellato di frequenti ricoveri ospedalieri, pareri medici errati o inconcludenti, trattamenti inutili e, in qualche caso, gravi episodi di malcostume sanitario. Questo è ciò che ha dovuto affrontare anche Erling Hess-Nielsen, un uomo di nazionalità danese che oggi ha 76 anni e che ha sperimentato i primi episodi di gonfiore (edema) causati dall'HAE a partire dalla sua infanzia. Parlando della propria vita ad 'HAE International' (HAEi), Erling spiega come, nonostante tutto, continui a sentirsi una persona fortunata.
“Già da bambino - racconta Erling - ho avuto attacchi mensili allo stomaco, con gonfiore e vomito. Mi ricordo di giornate a scuola abbastanza dolorose, ma mi sentivo bene tra un episodio e l'altro, cosicché la malattia non mi ha impedito di vivere la mia vita. Per molti anni sono stato membro di un'organizzazione di scout, ho aiutato mio padre nel suo negozio di Copenaghen, ho preso il diploma di scuola secondaria presso l'istituto Efterslaegten e, intorno ai 15 anni d'età, ho fatto un viaggio in bicicletta di circa 1500 chilometri, in Danimarca, insieme al mio amico Ib. Egli sapeva della mia malattia ed era consapevole del fatto che in certi giorni ci saremmo dovuti adattare ai problemi che comporta questa condizione”.
In quel periodo, la malattia era stata diagnosticata?
“No, visto che non ci sono state precedenti esperienze di HAE nella mia famiglia. Durante l'infanzia ho visitato molte volte una mia zia che era capo infermiera presso un ospedale danese, ma nessun dottore è stato in grado di effettuare la giusta diagnosi. Tuttavia, quando avevo 20 anni, ci sono andato vicino. Durante un grave attacco, sono andato al pronto soccorso del Frederiksberg Hospital di Copenhagen. Mi è stato detto che probabilmente si trattava di un qualche tipo di dolore al petto, e che potevo tornare a casa. Dato che non volevo andarmene, mi hanno mandato al dipartimento di otorinolaringoiatria, ma non ho ricevuto un grande aiuto neanche lì. Alla fine, mi hanno indirizzato ad un reparto privato in cui potevo restare, mentre i dottori, praticamente, speravano che le cose si sarebbero sistemate da sole. Ad un certo punto il dolore fu così forte che crollai sul pavimento. Per fortuna, un'infermiera del reparto chiamò un giovane medico, Jorgen Paulsen, che si precipitò nella stanza per praticarmi una tracheotomia d'urgenza con un coltellino da tasca. Senza alcun dubbio, quella volta sono riuscito a sopravvivere solo grazie al suo intervento”.
E' allora che ha ricevuto la giusta diagnosi?
“No, ma il dottore mi ha lasciato due cose molto importanti. Innanzitutto, la raccomandazione di portare sempre con me un coltello da tasca tagliente e una penna stilografica da utilizzare come cannula, nel caso in cui avessi avuto bisogno di un'altra tracheotomia urgente. Inoltre, mi diede una lettera in cui affermava che qualsiasi ospedale avrebbe dovuto considerami come 'non dimissibile', una lettera che mi è servita diverse volte nel corso dei miei frequenti ricoveri. La malattia non ha ostacolato i vari e interessanti lavori che ho svolto da giovane. Ad esempio, ho accompagnato per la Danimarca un ambasciatore arabo e sua figlia di 17 anni, guidando una grande Cadillac. Per sette settimane sono stato autista, assistente e traduttore per Grant Crabtree, che ha prodotto tre film nel mio Paese. Ho anche iniziato a studiare per diventare programmatore, ma devo ammettere che non prevedevo un gran futuro per il settore informatico, e così sono diventato insegnante”.
“La diagnosi di HAE è arrivata nel 1970, dopo che, per lavoro, mi sono trasferito da Copenaghen a Viborg County. Il dott. Finn Jeppesen, del Viborg Hospital, aveva letto un articolo del prof. Hugh Zachariae e decise di mandarmi da questo specialista, il quale, per la prima volta, mi prescrisse una terapia profilattica efficace. Da 27 a 63 anni, ho ricoperto posizioni di manager a Viborg County, l'ultima delle quali presso il Centro per i Sussidi Didattici. Di conseguenza, ho dovuto partecipare, in qualità di presidente, ad un gran numero di incontri, consigli comunali e riunioni di commissioni scolastiche. Ovviamente sapevo che, di solito, gli attacchi si verificavano ogni 3 o 4 settimane, e se questo accadeva durante qualche incontro, sopportavo il dolore e uscivo a vomitare ogni volta che mi era possibile, recuperando le forze alla fine della giornata lavorativa. Comunque, non credo che la malattia mi abbia impedito di avere una buona carriera. In tutta la mia vita, sono mancato a non più di 4 giorni di lavoro. L'angioedema ereditario non ha nemmeno fermato il mio impegno con Round Table e Amnesty International, alle cui attività ho partecipato per più di un decennio, tenendo circa 15 lezioni all'anno ai nuovi membri del gruppo locale di Viborg County”.
Suo figlio Thomas dice che lei è la persona più positiva che conosca.
“Ho tutte le ragioni per essere positivo, dato che ho imparato a convivere con la malattia. Non si muore né per il più forte dei dolori allo stomaco, né per 3 giorni di vomito. Mi considero fortunato perché ho avuto una buona educazione, riconoscimenti sul lavoro, tre buoni matrimoni e due figli”.
“Anche dopo che sono andato in pensione, nel 2003, ho continuato a ricoprire il ruolo di consulente nel mio settore e, per diversi anni, mi sono impegnato per cercare di portare in Lituania i migliori aiuti che possa offrire la Danimarca. Inoltre, ho fatto molti viaggi in Paesi come gli Stati Uniti, l'Irlanda, l'Italia e l'Inghilterra. Sto bene con me stesso e con la mia famiglia, quindi credo che non esistano limiti a ciò che una persona possa fare”.
I suoi attacchi sono diminuiti nel corso degli anni?
“Si, oggi posso dire di stare abbastanza bene. Devo soltanto prendere una pillola al giorno. Questo crea una sorta di pace intorno a me e alla mia malattia, dato che so che il farmaco funziona. E' diverso da quello che ho affrontato in passato, quando mi è stata rimossa l'appendice, quando mi è stata 'spennellata' in gola adrenalina o quando, per 14 giorni, sono stato sottoposto ad una dieta che era composta esclusivamente da pane di riso e birra. Tutto questo perché i medici non riuscivano a scoprire quale fosse il mio problema”.
“Tutto sommato - continua Erling - mi considero un uomo fortunato perché non ho avuto attacchi troppo frequenti o gravi, come invece accade a tante persone con HAE. Non mi sono mai veramente sentito in pericolo di vita, nemmeno durante l'episodio avvenuto al Frederiksberg Hospital. Sono stato coinvolto in molte attività stimolanti, che ho portato avanti considerando la malattia come un problema da superare e come qualcosa con cui convivere. Visto che, nel mio caso, tra un attacco e l'altro passano lunghi intervalli di tempo, sono proprio questi momenti di pausa che per me contano maggiormente. Per questo mi reputo fortunato e non svantaggiato. Insomma, mi sento un po' come voglio sentirmi”.
Per saperne di più visita la nostra sezione dedicata all’ANGIOEDEMA EREDITARIO.
Traduzione a cura di Emanuele Conti.
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