cheratite neurotrofica

Dal coenzima Q10 al collirio da membrana amniotica, passando per molecole che imitano il fattore di crescita nervoso: la ricerca su nuove possibilità di trattamento è molto attiva 

Gran parte delle patologie oculari si presenta con una sintomatologia abbastanza definita, che comprende disturbi della visione, fastidi o dolori: la cheratite neurotrofica (NK) non fa eccezione, anche se l’aspetto insidioso di questa rara patologia è che spesso esordisce in maniera asintomatica. La cheratite neurotrofica è caratterizzata da una ridotta o assente sensibilità corneale in seguito alla compromissione dei nervi che raggiungono la cornea stessa: questa perdita di innervazione riduce i meccanismi protettivi, come il battito palpebrale e la lacrimazione, che mantengono la salute corneale, conducendo a danni progressivi che possono esitare anche nella perdita della vista. La comprensione approfondita dell’anatomia della cornea, nonché delle strutture nervose annesse, si è rivelata fondamentale per lo sviluppo di trattamenti validi per questa malattia, con potenziali nuove opzioni terapeutiche che attualmente sono in fase di valutazione.

La cornea è una delle strutture a maggior sensibilità dell’organismo umano ed è fino a 400 volte più sensibile della pelle. Si tratta di un tessuto trasparente, non irrorato da vasi sanguigni ma altamente innervato dalle fibre sensoriali del nervo trigemino, coinvolte nella percezione del dolore e nella guarigione delle ferite della cornea, nonché nella regolazione del riflesso di ammiccamento. La fisiologia dei nervi della cornea è un complesso capitolo di oculistica e chiama in causa gruppi di fibre nervose sensoriali che raggiungono questo tessuto dell’occhio e concorrono alla produzione di fattori trofici, proteine che mantengono l’integrità della struttura cellulare dell’epitelio corneale. Nella cheratite neurotrofica, la funzionalità di questo complesso apparato nervoso viene compromessa, esponendo la cornea al rischio di lesioni e perforazioni che, se non adeguatamente trattate, possono condurre anche alla perdita dell’occhio.

La cheratite neurotrofica ha raramente un’origine congenita (quando la patologia è correlata a sindromi genetiche), mentre molto più frequenti sono le cause acquisite, che si dividono in oculari (ad esempio le infezioni da Herpes virus, l’uso prolungato di lenti a contatto, la chirurgia refrattiva) o extraoculari (traumi o lesioni chirurgiche al nervo trigemino). Secondo i risultati di uno studio pubblicato su The Ocular Surface, le maggiori cause della cheratite sono le infezioni erpetiche (32,2% dei casi), seguite dai tumori o dalle conseguenze della chirurgia intracranica (27,7%) e, infine, dal diabete (10,5%).

Nei primi stadi di sviluppo la cheratite neurotrofica può presentare sintomi sovrapponibili a quelli della sindrome da occhio secco (fotofobia, sensazione di un corpo estraneo nell’occhio e visione offuscata) ma, paradossalmente, al progredire della malattia il dolore si riduce, pur continuando ad essere presenti le lesioni. Pertanto, la diagnosi è prima di tutto clinica: l’esame obiettivo dell’occhio è fondamentale e viene supportato dall’estesiometria corneale (una tecnica per misurare la sensibilità della cornea), da tecniche di imaging e dalla microscopia confocale in vivo.

LE ATTUALI TERAPIE

In un articolo pubblicato sulla rivista Drugs sono state sinteticamente riassunte le attuali strategie di gestione della cheratite neurotrofica, basate soprattutto sulla protezione della superficie della cornea. Una soluzione valida per il trattamento delle forme iniziali di malattia prevede il ricorso alle lacrime artificiali, che lubrificano e proteggono l’occhio; tuttavia, occorre fare attenzione a non scegliere prodotti contenenti conservanti o disinfettanti come il cloruro di benzalconio, che ha effetti pro-infiammatori e pro-apoptotici, prediligendo quelli a base di acido ialuronico. Ci sono poi le tetracicline, farmaci antibatterici, e i colliri a base di siero, da adottare quando i soli lubrificanti non sono sufficienti. A tutto ciò si aggiunge l’eventuale uso di lenti a contatto protettive o l’attuazione della procedura di occlusione puntale, che prevede la chiusura temporanea o permanente del piccolo foro di drenaggio lacrimale situato nell’angolo interno dell’occhio, per trattenere le lacrime e aumentare il tempo di contatto dei farmaci sulla cornea.

Nella cheratite neurotrofica in stadio più avanzato può essere necessario ricorrere a trattamenti chirurgici come la tarsorrafia, per la chiusura reversibile delle palpebre, l’innesto corneale di membrana amniotica o il vero e proprio trapianto di cornea, una procedura che tuttavia, oltre ad essere invasiva, non restituisce al paziente la capacità visiva compromessa dalla patologia.

Un farmaco specifico per la NK, l’unico finora appositamente approvato per questa malattia, è il cenegermin, un collirio a base di fattore di crescita nervoso ricombinante (rhNGF) che si è dimostrato in grado di indurre una completa guarigione delle lesioni corneali nei pazienti affetti da NK moderata o severa, mediante un unico trattamento di 8 settimane. In Italia, l’uso del cenegermin è attualmente autorizzato in classe C, quindi a carico dei pazienti oppure delle singole strutture ospedaliere o ASL che ritengano di poterne sostenere il costo, sebbene in alcune regioni, soprattutto per patologie rare come la NK, esistano delle modalità che consentono al paziente di avere accesso alla terapia senza doverne sostenere il costo.

LE OPZIONI TERAPEUTICHE IN VIA DI STUDIO

Sul fronte della ricerca, per la cheratite neurotrofica sono in corso studi su potenziali nuove opzioni terapeutiche, anche se molti di questi trattamenti sono utilizzati off-label oppure supportati solo da case report o studi preclinici, e non hanno ancora dimostrato la loro efficacia in studi controllati condotti sull’uomo.

Nello specifico, si stanno valutando nuove strategie di trattamento volte a rigenerare l’epitelio e a restituire vigore alla rete nervosa della cornea, a cominciare dall’utilizzo dell’insulina per uso topico e del coenzima Q10, un antiossidante, quest’ultimo, che sembra in grado di migliorare la funzione mitocondriale e sostenere la rigenerazione nervosa.

Sono allo studio anche nuovi colliri prodotti a partire da derivatici ematici del cordone ombelicale, che contengono elevate concentrazioni di fattore di crescita nervoso (NGF), oppure colliri derivati da cellule della membrana amniotica, che si propongono come un’alternativa non invasiva - seppure ancora in fase sperimentale - al trapianto di membrana amniotica. 

Un fronte di studio interessante riguarda i farmaci che aumentano i livelli di NGF, come la nicergolina, o che mimano la sua azione, come udonitrectag: un’ulteriore conferma dell’importanza del fattore di crescita nervoso nel contrasto agli effetti della cheratite neurotrofica.

Altre soluzioni in via di valutazione includono l’uso di fattori di crescita, di farmaci antagonisti dei recettori degli oppioidi, che stimolano la riparazione dell’epitelio corneale, o di molecole coinvolte nei processi di rigenerazione dei nervi.

Tra i farmaci più promettenti in fase di sperimentazione per la cheratite neurotrofica ci sono, infine, aprepitant e fosaprepitant, antagonisti del recettore della neurochinina-1, inizialmente pensati come anti-emetici, cioè come medicinali contro la nausea. È stato visto che queste molecole sono anche in grado di promuovere la rigenerazione della cornea e sono state perciò incluse in alcune sperimentazioni sulla NK.

La comunità scientifica continua a esplorare nuove opzioni di trattamento, ma è necessaria una rigorosa validazione clinica per poter garantire terapie sicure ed efficaci ai pazienti affetti da questa patologia rara e debilitante.

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