Prof. Fulvio Braido - Disturbi respiratori ostruttivi
Prof. Fulvio Braido

Prof. Fulvio Braido (Genova): “Da parte di molti medici c’è ancora una limitata consapevolezza di questa condizione, col rischio di non offrire ai pazienti le soluzioni terapeutiche disponibili”

Spesso alla comparsa di sintomi respiratori e nella codifica della diagnosi successiva non si tiene in considerazione la possibile presenza di un deficit di alfa-1-antitripsina (DAAT), ma la carenza, o addirittura la mancanza di un enzima come l’alfa-1-antitripsina, prodotto in condizioni fisiologiche dall’organismo, può avere un ruolo chiave nell’interpretazione di un problema respiratorio in apparenza comune. Il DAAT è l’acronimo di una condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare malattie epatiche o enfisema polmonare e altri disturbi respiratori cronici (in modo particolare asma e bronchiectasie). Non è dunque di per sé una malattia e non è nemmeno così rara come si tende a credere. Il DAAT è invece una condizione genetica, purtroppo fortemente sottovalutata.

In Europa si contano circa 120mila persone con un DAAT di tipo severo (definito dal genotipo Pi*ZZ) ma il dato che preoccupa di più è che si stima che solamente una frazione compresa tra il 10 e il 20% dei pazienti affetti da questa condizione riceva una diagnosi: sono numeri traducibili nella ben nota immagine dell’iceberg, in cui la parte emersa e visibile rappresenta l’apice del problema mentre il grosso rimane nascosto sotto la superficie dell’acqua, invisibile agli occhi ma pericolosamente presente. “Ravvisiamo una limitata predisposizione ad indagare il deficit di alfa-1-antitripsina da parte di tanti medici, soprattutto colleghi di medicina generale”, afferma Fulvio Braido, Professore di Malattie Respiratorie e Direttore della Clinica di Malattie Respiratorie e Allergologia presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. “In questo preciso momento storico, contraddistinto da una generalizzata sofferenza da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i medici di famiglia sono oberati di lavoro e occupati da patologie croniche o ad elevata prevalenza. Nonostante ciò non si può trascurare il DAAT, spesso collegato a patologie respiratorie molto diffuse; perciò serve un nuovo tipo di comunicazione in cui far rientrare il deficit di alfa-1-antitripsina quale condizione in grado di causare o aggravare una patologia ostruttiva bronchiale cronica, condizione che può (e deve) essere identificata e trattata”.

L’alfa-1-antritripsina (AAT) è una proteina capace di inibire l’azione delle proteasi dell’organismo e svolge un ruolo essenziale nel modulare l’infiammazione e l’attività di determinate cellule immunitarie, proteggendo i polmoni dai danni causati proprio da processi infiammatori incontrollati. La proteina AAT è codificata dal gene SERPINA1, bersaglio di oltre 150 mutazioni capaci di alterare la struttura della proteina stessa e di provocarne l’accumulo all’interno degli epatociti. Come conseguenza, i livelli di AAT nell’organismo precipitano limitandone l’attività. Determinare la concentrazione di AAT nel siero e identificare eventuali mutazioni genetiche alla base del DAAT è il primo passo per una corretta diagnosi di questa condizione. “L’identificazione del problema rende possibile l’avvio del trattamento”, specifica Braido, facendo riferimento alla terapia sostitutiva con infusioni di alfa-1-antitripsina. “Al momento la gran parte delle diagnosi viene effettuata negli individui più giovani con quadri clinici eclatanti, che però non rispecchiano l’intero spettro dei pazienti con DAAT”.

Purtroppo, infatti, in molte situazioni il deficit di alfa-1-antitripsina viene individuato in ritardo (a volte anche di diversi anni) e le persone con sintomi compatibili riferiscono di aver consultato più medici prima di giungere a una diagnosi: questo ritardo è associato a un peggioramento dei sintomi di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), a un declino più rapido della funzione polmonare e ad una ridotta sopravvivenza complessiva o libera da trapianto. “Nel tentativo di individuare precocemente i pazienti con DAAT, all’interno della Clinica di Malattie Respiratorie e Allergologia che dirigo è stato avviato un servizio che offre anche ai medici di medicina generale la possibilità di prenotare ai loro pazienti una prima visita pneumologica con uno specifico quesito diagnostico (ad esempio la BPCO)”, puntualizza Braido. “Questo serve a indirizzare le persone verso gli ambulatori dedicati che valutano tutti gli aspetti tipici di una patologia ostruttiva bronchiale, incluso il DAAT”. Non si tratta, dunque, di una visita pneumologica generica bensì mirata, che conduce il paziente presso l’ambulatorio adatto alla cura della problematica di cui soffre. Sebbene attivo già da qualche tempo questo è un servizio complesso, che deve essere ben compreso e recepito soprattutto dal medico di base, che può così stabilire un ponte con i clinici di secondo e terzo livello, specializzati nella presa in carico di persone portatrici di una condizione come il DAAT.

Ogni paziente affetto da BPCO e difficoltà respiratoria dovrebbe sottoporsi, almeno una volta nella vita, a un test per il dosaggio dell’AAT”, dichiara ancora Braido. “Negli anni scorsi si è cominciato a prestare ascolto a questa raccomandazione per la BPCO ma non ancora per l’asma (soprattutto l’asma grave) e per le bronchiectasie. È sostanziale far capire che in presenza di una patologia ostruttiva bronchiale il dosaggio dell’AAT non può essere un’opzione secondaria”. Il DAAT, infatti, può essere diagnosticato con delle semplici - ed economiche - analisi di laboratorio che, oltre al dosaggio dell’alfa-1-antritripsina, prevedono quello della proteina C reattiva (PCR) e l’elettroforesi delle proteine: tali test si collocano alla base delle decisioni cliniche riguardanti potenziali opzioni di trattamento per i singoli pazienti e possono essere agevolmente prescritti dal medico di famiglia in presenza di un quadro sintomatologico rappresentativo. “Il DAAT rappresenta un modello di patologia da tenere a mente”, spiega lo specialista ligure. “In esso si cela il prototipo per una medicina personalizzata che, a partire dall’individuazione del problema, passa per una diagnostica specifica (di primo e secondo livello) e giunge a un approccio terapeutico personalizzato con risultati evidenti in termini di mantenimento della funzione polmonare o dell’integrità strutturale del tessuto del polmone”.

In quanto modello ideale di gestione di una problematica sanitaria, intorno al DAAT deve essere costruita una rete in cui tutti i nodi siano adeguatamente valorizzati. “Per migliorare la presa in carico di coloro in cui il DAAT si associa a un’evidente situazione di rischio di peggioramento di un quadro instabile, bisogna eliminare il concetto di piramide e sostituirlo con quello di rete”, esplicita Braido. “Non tutti i nodi di una rete possono occuparsi di ogni risvolto diagnostico e terapeutico richiesto dal modello personalizzato, perciò vanno ben stabiliti i ruoli, a partire da quello del medico di medicina generale, essenziale tassello di raccordo con i centri di riferimento, cosicché il flusso di pazienti lungo le maglie della rete sia bidirezionale e le persone con una diagnosi accertata e una terapia impostata possano tornare ad essere seguiti a domicilio o presso i centri più prossimi alla loro residenza. La compartecipazione ospedale-territorio ha nell’ospedale un’importante fase iniziale e nel territorio deve trovare un interlocutore imprescindibile per la prosecuzione delle cure”. Tutto ciò concorre all’ottimizzazione della rete, in cui va integrato anche il concetto di sorveglianza epidemiologica.

Domiciliazione della terapia e compartecipazione ospedale-territorio rappresentano quindi gli aspetti prioritari nella gestione del DAAT e trovano un riferimento affidabile e tangibile nella creazione di Percorsi Diagnostico-Terapeutici (PDT) dedicati. “Basterebbe un modello unico di PDT che ogni centro sia in grado di adattare alle specifiche logiche organizzative”, conclude Braido. “Per il deficit di alfa-1-antitripsina le fasi di diagnosi e cura sono chiare, mentre occorre ottimizzare le modalità di attuazione del trattamento in modo da integrarlo con la vita quotidiana del paziente”.

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