Da pochi mesi la strategia è approdata allo sviluppo clinico con quattro diversi trial negli Stati Uniti, e un quinto programma nelle fasi finali di preclinica in Europa
Roma – Da almeno 15 anni, uno degli obiettivi più ambiziosi della comunità scientifica che lavora nel campo della distrofia muscolare di Duchenne è riuscire a ripristinare la produzione di distrofina, la cui assenza è alla base della patologia, veicolando il gene sano direttamente all’interno del tessuto muscolare. Purtroppo le grandi dimensioni del gene della distrofina, che è il più grande che abbiamo nel nostro DNA, hanno reso l’impresa molto ardua poiché i virus utilizzati per trasferire i geni nelle cellule hanno, per contro, una capienza piuttosto limitata.
Grazie, però, ad una serie di progressi scientifici e tecnologici acquisiti in questi ultimi anni, diversi gruppi di ricerca sono riusciti a mettere a punto una strategia di terapia genica in vivo basata sull’utilizzo di forme del gene della distrofina di dimensioni ridotte, ma funzionali – le cosiddette mini-distrofina e micro-distrofina – che possono essere ospitate all’interno di vettori virali di tipo adeno-associati (AAV) e veicolate direttamente all’interno del tessuto muscolare. Nella pratica, il virus viene trasformato in un veicolo innocuo, sostituendo il suo genoma virale con il “gene terapeutico” di interesse, nel caso specifico la mini/micro-distrofina. Poiché queste modifiche non alterano la capacità del virus modificato di penetrare nelle cellule, una volta messo in circolazione mediante somministrazione sistemica (per via endovenosa), il virus agisce come una specie di “Cavallo di Troia” che trasferisce nelle cellule il “gene terapeutico” con la successiva produzione della proteina mancante.
Un aggiornamento su questo tema è stato presentato, nel corso della XVI Conferenza Internazionale di Parent Project Onlus, da Michael Binks di Pfizer. L'azienda farmaceutica ha sviluppato una strategia di terapia genica chiamata PF-06939926, composta da un vettore AAV9 all’interno del quale è ospitato un gene della mini-distrofina. Binks ha mostrato i buoni risultati ottenuti dagli studi preclinici, in ratti modello per la DMD. Gli esperimenti hanno evidenziato un’espressione della mini-distrofina che è direttamente proporzionale rispetto alla quantità di PF-06939926 somministrata (dose dipendente), e che raggiunge buoni livelli dopo 6 mesi dall’infusione. La produzione di mini-distrofina, che avviene sia nelle fibre muscolari scheletriche che in quelle cardiache, è risultata essere associata ad un rallentamento, e a volte ad una stabilizzazione, del declino della forza muscolare nei ratti.
Questi dati hanno permesso alla FDA di autorizzare l’avvio di una sperimentazione di Fase I in 4 centri clinici negli USA. Si tratta di un trial in aperto, non randomizzato, a singola dose crescente, che mira a valutare la sicurezza e la tollerabilità di PF-06939926 in 12 pazienti Duchenne deambulanti e di età compresa tra i 5 e i 12 anni. Attualmente sono in corso gli screening per il reclutamento dei partecipanti. Oltre alla sicurezza e alla tollerabilità, lo studio valuterà attraverso biopsie muscolari ed esami di risonanza magnetica, anche l’espressione della mini-distrofina e la sua distribuzione, la forza e la funzionalità muscolare. I primi dati saranno disponibili dopo un anno di monitoraggio, ma i pazienti saranno seguiti per un periodo totale di 4 anni per poter valutare gli effetti a lungo termine della terapia genica.
A seguire Thomas Voit, dell’Institute of Child Health all’University College London, ha illustrato una panoramica sulle potenzialità e sui limiti della terapia genica per la Duchenne. La presentazione di Voit si è basata sui risultati ottenuti negli studi preclinici di un programma di sviluppo di terapia genica per la DMD che sta conducendo in collaborazione con diversi istituti francesi. Gli esperimenti sono stati condotti su cani modello per la DMD (Golden retriever muscular dystrophy, GRMD), nei quali è stata somministrata per via locale, o sistemica, una forma ridotta del gene della distrofina – la micro-distrofina – veicolata dal vettore AAV8. Come per altri studi, anche in questo caso i dati dimostrano che la produzione di micro-distrofina nelle cellule, ed i suoi effetti sulla patologia, è direttamente proporzionale rispetto alla somministrazione di micro-distrofina-AAV8. I ricercatori hanno osservato che sopra ad un certo livello soglia di produzione di micro-distrofina si ottiene una significativa riduzione di fibrosi nel tessuto muscolare dei cani.
Questo livello di produzione di distrofina è, inoltre, associato ad una stabilizzazione della forza muscolare, che nei cani GRMD è in veloce declino già dalla nascita. Per riuscire ad ottenere un vero e proprio aumento della forza muscolare è necessario che la produzione di micro-distrofina nel tessuto muscolare superi il 40%. A questo proposito Thomas Voit ha sottolineato una serie di limiti ed ostacoli all’applicazione clinica della terapia genica per la Duchenne. Innanzitutto, l’espressione di micro-distrofina è molto variabile ed eterogenea tra le cellule di diversi distretti muscolari, il che è probabilmente dovuto ad una diversa efficienza di infezione da parte del vettore virale nei vari muscoli. Inoltre, la produzione di micro-distrofina tende a diminuire nel tempo, in particolare dopo circa due anni negli studi preclinici presentati. Questo vuol dire che la strategia utilizzata può avere un effetto terapeutico sui cani, ma solo parziale e temporaneo.
Un altro limite illustrato da Voit risiede nel fatto che le forme geniche di mini/micro-distrofina vengono veicolate dai vettori AAV nel tessuto muscolare scheletrico e cardiaco, dove entrano in azione, ma non riescono a penetrare in maniera efficiente nelle cellule staminali del tessuto muscolare (le cellule satelliti) che sono alla base del processo di rigenerazione di questi tessuti, limitando notevolmente le potenzialità della terapia sperimentale. Infine, Voit ha posto l’attenzione sul rischio della possibile risposta immunitaria dell’organismo che riceve la terapia genica, e sull’eventuale tossicità della strategia. Nonostante tutti i limiti presentati, Voit ha comunque concluso che la terapia genica ha effettivamente un alto potenziale e che sarà molto importante nel futuro prossimo continuare ad esaminare molto attentamente le diverse problematiche per cercare di trovare soluzioni adeguate.
Leggi il report scientifico completo, a cura di Francesca Ceradini, sul sito di Parent Project Onlus.
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