ASL di Taranto

I medici di Taranto avevano scambiato i sintomi della malattia per un generico ritardo motorio

Taranto – Si è conclusa con un risarcimento alla famiglia, dopo quasi due anni, la mediazione che ha visto contrapposti i genitori di Marco e la ASL di Taranto. OMaR aveva raccontato la vicenda nel 2019: oggetto del contendere era il fatto che i medici, per quattro lunghi anni, non fossero stati in grado di riconoscere i sintomi della malattia genetica rara che aveva colpito il piccolo, la distrofia muscolare di Duchenne.

Marco, che oggi ha otto anni, alla nascita era un bambino come tanti. All'età di un anno, però, aveva ancora delle difficoltà a mantenere il controllo del tronco; ha compiuto i suoi primi passi solo a 25 mesi, e a due anni e mezzo ha cominciato a deambulare, ma cadeva spesso. I genitori si rendono conto che in lui qualcosa non va, e, preoccupati, lo fanno visitare dai medici dell'ASL di Taranto nel maggio del 2013: il responso è quello, generico, di “ritardo motorio”, al quale si cerca invano di porre rimedio con fisioterapia e riabilitazione in piscina, pagate di tasca propria dai genitori, una giovane coppia pugliese.

Da quella prima osservazione fino alla diagnosi passeranno più di quattro anni: solo al suo arrivo presso il Policlinico Gemelli di Roma, a fine 2017, gli specialisti sapranno dare un nome alla malattia. Nella Duchenne, purtroppo, come in tutte le patologie neuromuscolari, una diagnosi tardiva significa minori chance di azione: la malattia, infatti, causa una progressiva degenerazione muscolare, portando alla perdita della capacità di camminare e muoversi e, in seguito, a insufficienza cardiaca e respiratoria. Degli interventi mirati in età precoce, invece, avrebbero potuto concedere al piccolo una vita più lunga e di migliore qualità.

Ora che la mediazione è terminata con un risarcimento, ai genitori resta comunque l'amaro in bocca. “Per scoprire la malattia di nostro figlio abbiamo dovuto girare mezza Italia: questo dimostra non solo l'inadeguatezza del sistema sanitario del sud Italia, ma ne riflette anche il contesto socio-culturale. Abbiamo dovuto lottare per tutto, dalla maestra di sostegno al fisioterapista, e in questo periodo di pandemia siamo stati abbandonati ancora di più”, protesta il padre.

Chiediamo solo che una persona disabile, o più debole da un punto di vista sociale ed economico, possa vivere normalmente, ovvero ciò che in un Paese normale dovrebbe essere un diritto. In questi anni abbiamo conosciuto tanta brava gente, e abbiamo avuto il supporto dell'associazione UILDM, ma abbiamo incontrato anche tante persone indifferenti, fredde, ciniche, preoccupate solo di non far sgretolare un sistema marcio”, conclude il padre di Marco. “Noi continueremo a lottare per il diritto alle cure e alla salute di nostro figlio e di tutti quei bimbi e genitori che non vengono rispettati da una burocrazia insensibile alle necessità dei più deboli”.

Per sapere quali sono i campanelli d'allarme della distrofia muscolare di Duchenne, leggi anche: “Distrofia muscolare di Duchenne, ancora troppi ritardi nella diagnosi”.

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