Secondo i ricercatori di Catania, che hanno riassunto in uno studio i 36 anni di esperienza del centro, questo indicatore è più accurato rispetto ai livelli neonatali di fenilalanina
Catania – L'Italia, seguita dall'Irlanda, è stata riconosciuta come la nazione con la più alta prevalenza di fenilchetonuria (PKU) su 64 Paesi diversi. Una delle regioni più colpite è la Sicilia: i ricercatori ipotizzano che abbia una prevalenza di iperfenilalaninemie coerente con quella italiana (un caso su 4.000 persone), o addirittura superiore. Nell'Isola, lo screening neonatale per questa patologia è attivo fin dal 1987, e ora gli studiosi, sulla rivista Nutrients, hanno descritto lo spettro genetico e fenotipico dei pazienti diagnosticati presso il Dipartimento di Errori Congeniti del Metabolismo e Screening Neonatale dell'ospedale “G. Rodolico – S. Marco” di Catania nell'arco di quattro decenni (dal 1987 al 2023).
La fenilchetonuria è una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni nel gene della fenilalanina idrossilasi (PAH), che causano la compromissione del metabolismo aminoacidico. La diagnosi precoce attraverso lo screening neonatale consente un trattamento tempestivo, nei primi mesi di vita, che è essenziale per evitare sequele neurologiche a lungo termine. La disponibilità di questo esame ha quindi modificato significativamente la storia naturale della malattia: consente oggi l'identificazione di tutti i casi di PKU e facilita la definizione della sua distribuzione epidemiologica.
Lo studio degli esperti catanesi offre una panoramica precisa della PKU e dell'iperfenilalaninemia lieve (m-HPA) in un'ampia coorte di pazienti della Sicilia orientale, tutti diagnosticati, trattati e attentamente seguiti per decenni presso lo stesso centro clinico, con oltre trent'anni di esperienza nella gestione dei difetti congeniti del metabolismo, tra cui la fenilchetonuria.
L'analisi retrospettiva ha incluso 102 pazienti con elevati livelli ematici di fenilalanina (Phe). La valutazione del fenotipo comprendeva i livelli di Phe alla nascita o alla diagnosi, la tolleranza alimentare e la risposta alla sapropterina dicloridrato, un farmaco utilizzato per trattare l'iperfenilalaninemia. Fra questi pazienti, con un'età media di 21,72 anni, 34 sono stati classificati come affetti da PKU classica, 9 da PKU moderata, 26 da PKU lieve e 33 da m-HPA. I fenotipi talvolta divergevano dalle previsioni del genotipo, enfatizzando – per la classificazione – la tolleranza alimentare rispetto ai livelli iniziali di Phe: l'iperfenilalaninemia lieve (m-HPA) era statisticamente associata a una maggiore tolleranza alimentare rispetto alle forme classica, moderata o lieve di PKU.
Uno degli aspetti chiave sottolineati nello studio è l'utilità di sfruttare database ampi e completi come BioPKU, che forniscono ai medici risorse accessibili, consentendo loro di prevedere potenziali fenotipi sulla base dei genotipi identificati e di guidare le decisioni relative ai test di responsività alla tetraidrobiopterina (BH4). Tuttavia, la previsione del fenotipo è molto difficoltosa, data la significativa variabilità genetica, le interazioni alleliche e l'influenza dei geni modificatori che spesso complicano la prognosi precisa.
“I nostri risultati dimostrano che i fenotipi dei pazienti si discostano spesso dalle previsioni dei database, rafforzando l'importanza delle valutazioni cliniche che vanno oltre i risultati genetici iniziali”, spiegano gli autori. “In particolare, il nostro studio sottolinea che la tolleranza alimentare, in confronto ai livelli neonatali di Phe, è un determinante più accurato del fenotipo clinico della PKU. Ciò è in linea con studi precedenti che suggeriscono come il controllo metabolico a lungo termine, l'aderenza alla dieta e le soglie di tolleranza individualizzate siano migliori predittori di outcome. In particolare, per i pazienti con diagnosi di PKU classica l'aderenza a una dieta rigorosa per tutta la vita rimane essenziale ma impegnativa, poiché queste persone rappresentano il gruppo più vulnerabile all'abbandono del trattamento e alle relative complicanze neurologiche e cognitive. Per mitigare i rischi, questi individui richiedono un monitoraggio più attento e interventi personalizzati”.
I ricercatori, inoltre, hanno sottolineato l'importanza di calcolare periodicamente il rapporto Phe/Tyr (fenilalanina/tirosina) come biomarcatore del controllo metabolico, ovvero per monitorare l'aderenza alla terapia. “Questo parametro, combinato con i progressi negli strumenti di monitoraggio, è stato convalidato come un indicatore affidabile dell'aderenza al trattamento e dello stato metabolico, che consente ai medici di intervenire tempestivamente per salvaguardare la salute del paziente”, sottolineano i medici siciliani.
“La definizione di un fenotipo clinico accurato attraverso l'integrazione di dati genetici, biochimici e dietetici consente agli operatori sanitari di ottimizzare le strategie di trattamento. Ciò include l'esplorazione di terapie alternative o aggiuntive, come il farmaco pegvaliase o gli approcci emergenti di terapia genica, in particolare per i pazienti con fenotipi più gravi che rimangono scarsamente controllati con i regimi di trattamento convenzionali”, concludono i ricercatori. “Con l'avvento della medicina personalizzata, è possibile integrare i nuovi strumenti terapeutici e le cure continue incentrate sul paziente, e quindi migliorare notevolmente la prognosi a lungo termine per le persone con PKU”.
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