Non solo necessaria più attenzione da parte di medici e personale sanitario, anche i gruppi di supporto tra pazienti sono una necessità oggi non soddisfatta
Una diagnosi di malattia rara è spesso una notizia devastante. Scoprire di essere affetti da una malattia cronica e invalidante come la fibrosi polmonare idiopatica non può che essere un momento drammatico nella vita dei pazienti e di chi sta a loro vicino.
Di che cosa c’è più bisogno dopo una diagnosi del genere? Sono stati i pazienti stessi a rispondere, grazie a un processo di interviste realizzato qualche anno fa, analizzate recentemente da uno studio recentemente pubblicato su Current Respiratory Medicine Reviews.
I pazienti, una volta ottenuta la diagnosi, chiedono essenzialmente informazioni e supporto emotivo. La diagnosi comporta molte emozioni: sollievo, ansia, angoscia, shock, paura. Il momento della diagnosi è senza dubbio estremamente delicato, per questo è fondamentale che venga gestito al meglio, da personale preparato non solo a livello medico, ma pronto anche a fornire una comunicazione efficace, completa. Secondo lo studio in questione un consulto frettoloso, la diagnosi comunicata da un medico troppo giovane (o comunque da una figura professionale percepita dal paziente come ‘poco esperta’), il mancato accompagnamento della diagnosi con sufficienti informazioni oppure una diagnosi espressa in maniera eccessivamente “fredda e clinica”, sono tutti aspetti che aggravano un momento già drammatico. Una volta avvenuta la diagnosi i pazienti devono ricorrere a tutte le proprie risorse per reagire, ma non tutti reagiamo allo stesso modo. Avere a disposizione informazioni esaustive può certamente cambiare il modo di affrontare la realtà. Instaurare una relazione di fiducia con il proprio medico è sicuramente una fonte di benessere per il paziente, che può affidare la gestione della propria malattia con maggiore serenità.
Questo spesso capita - secondo i dati del 2010 dai quali sono state estrapolate le attuali analisi - quando i pazienti sono seguiti in un centro d’eccellenza per l’IPF, capita meno spesso quando i pazienti afferiscono alle pneumologie generali.
Lo studio in questione è, come accennato sopra, basato su dati del 2010, quando ancora il pirfenidone – unico farmaco approvato per il trattamento dell’ IPF – non era disponibile in commercio. Oggi i pazienti beneficiano di una possibilità terapeutica in più, che senza dubbio può cambiare la prospettiva.
Quello che probabilmente non è molto variato è l’impatto della malattia sugli aspetti della vita quotidiana. I pazienti riportano infatti un impatto su tutti i principali aspetti della vita: lavoro, finanze, famiglia, vita sociale e indipendenza.
Si tratta di una malattia che nelle prime fasi non ha una sintomatologia riconoscibile: i pazienti sembrano stare bene. Le difficoltà sono più dure durante le prime fasi della malattia, quando i pazienti non presentano nessun chiaro segno della malattia (come per esempio la necessità di ossigeno, segno visibile della patologia, che si presenta durante la fase avanzata).
“La gente in generale non capisce perché usiamo il parcheggio per i disabili”, “ se avessi il cancro sarebbero molto più empatici” sono solo alcune delle affermazioni che i pazienti hanno riportato.
Sia nel lavoro che nella vita privata chi osserva un paziente IPF può non vedere nulla di strano, per questo spesso si sentono incompresi, alle volte dagli stessi familiari e amici.
Ed è qui che entra immediatamente in gioco la necessità di un supporto emotivo di altra natura: la comunicazione tra pazienti, peer-to-peer. La comunicazione tra pari è una delle esigenze che i pazienti IPF sentono meno soddisfatte in assoluto
L’IMPORTANZA DEI GRUPPI DI SUPPORTO
La ricerca ha peraltro analizzato il feedback di un gruppo di pazienti che hanno avuto la possibilità di interagire tra loro attraverso un forum online, con il supporto di un moderatore. Tutti i pazienti che hanno partecipato al ‘gruppo’ si sono detti soddisfatti, hanno instaurato tra loro un forte legame e hanno espresso la volontà di continuare a comunicare tra loro. Condividere emozioni, sentimenti e informazioni con persone che vivono la nostra stessa condizione è una necessità dei pazienti IPF, ma più in generale dei malati rari, che si trovano a dover affrontare una condizione sconosciuta ai più.
Dopo aver analizzato questi, e numerosi altri aspetti connessi alle esigenze dei pazienti IPF (link altro studio), gli autori della ricerca sostengono che il miglioramento della comunicazione medico-paziente e il supporto emotivo dei pazienti (attuabile ad esempio con percorsi di counseling) deve essere incluso nel processo di gestione della malattia. Anche la creazione di gruppi di supporto tra pazienti (già realtà presso il Policlinico di Modena, uno dei centri d’eccellenza italiani), dovrebbe essere parte integrante del percorso di presa in carico globale.
Clicca qui per consultare lo studio in versione integrale (English version).
Clicca qui per consultare la traduzione in italiano, realizzata da Osservatorio Malattie Rare.
Seguici sui Social