immunodeficienze, AIP Aps

La testimonianza dell’associazione AIP Aps

Qualche settimana fa è stata presentata la pubblicazione "Storia e valore delle immunoglobuline. L’utilizzo terapeutico nelle immunodeficienze primitive, immunodeficienze secondarie e nella polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica", realizzata da Takeda Italia in media partnership con Osservatorio Malattie Rare e disponibile gratuitamente a questo link.

Tra le importanti voci raccolte nel libro c’è anche quella di Alessandro Segato, Presidente di AIP APS (Associazione Immunodeficienze Primitive).

“Fondata nel 1991 da persone direttamente coinvolte - pazienti, familiari, medici - l'Associazione Immunodeficienze Primitive (AIP APS) rappresenta oggi un punto di riferimento per chi convive con queste patologie rare e complesse. Le immunodeficienze primitive (IDP) - spiega Segato - sono malattie genetiche che compromettono il funzionamento del sistema immunitario, rendendo chi ne è affetto particolarmente vulnerabile alle infezioni e ad altri problemi di salute. L’incidenza è variabile, oscilla da 1:500 per le forme più frequenti a 1:500.000 per quelle più rare. Nel loro insieme, può essere calcolata intorno a 1:2.000. Si ritiene, nondimeno, che si tratti di patologie ampiamente sottostimate per l’eterogeneità delle modalità di presentazione clinica.

Ma la vulnerabilità non è solo clinica. È anche sociale, emotiva, relazionale, ed è proprio per rispondere a questi bisogni che AIP si impegna ogni giorno per offrire un supporto concreto alle famiglie, promuovere un’informazione scientifica corretta, collaborare con i medici e i ricercatori e fare rete a livello internazionale, grazie alla partnership con IPOPI (l’organizzazione mondiale dei pazienti con IDP).

AIP, infatti, si impegna a diffondere la conoscenza delle immunodeficienze primitive attraverso eventi, campagne informative e il notiziario AIP Informa, sostiene la ricerca scientifica, l’ascolto e il supporto psicologico e legale, anche per costruire una rete tra pazienti, famiglie e centri clinici. Infine, tutela i diritti socio-sanitari e lavorativi delle persone con IDP e sostiene l’applicazione di protocolli diagnosticoterapeutici condivisi."

NUOVE FRONTIERE TERAPEUTICHE: COSA CAMBIA PER CHI VIVE CON UN’IDP 

“Senza dubbio, le immunoglobuline a rilascio prolungato, come la nuova immunoglobulina sottocutanea facilitata con ialuronidasi umana ricombinante, hanno rappresentato un passo avanti importante per molte persone con immunodeficienze primitive”, spiega Segato. “Il beneficio non riguarda solo l'aspetto clinico, ma anche quello emotivo e pratico della vita quotidiana. La possibilità di effettuare infusioni meno frequenti - ad esempio una volta ogni tre o quattro settimane invece che settimanalmente - consente una maggiore libertà e autonomia. Chi si sottopone a questo tipo di terapia può gestirla più facilmente, senza dover pianificare ogni aspetto della propria esistenza intorno alle infusioni. Per molte persone ciò significa poter lavorare, viaggiare, avere una vita sociale senza l’impegno costante della terapia.

Un altro elemento è la possibilità di eseguire le infusioni a casa, limitando il carico sugli ospedali e permettendo ai pazienti di vivere la terapia con meno stress. Naturalmente ci sono preferenze personali: alcune persone si sentono più sicure se si recano in ospedale, altre preferiscono l'autonomia del trattamento domiciliare. Ma per chi sceglie la seconda opzione, una terapia mensile rappresenta un enorme vantaggio. In termini di effetti collaterali, la terapia ha dimostrato una buona tollerabilità. I disagi più comuni sono piccoli gonfiori nella zona dell'infusione, che scompaiono nel giro di un giorno o due. Non sono stati segnalati effetti collaterali gravi e il fatto che queste terapie sono approvate per l'uso domiciliare è una garanzia della loro sicurezza. C’è il rischio, anche se raro, di shock anafilattico, perché l’organismo accetta normalmente le IgG, che sono le immunoglobuline della memoria, ma alcune persone possono essere allergiche alle IgA. Per questo motivo, le infusioni iniziali si eseguono in ospedale, dove il personale sanitario è pronto a gestire queste situazioni”.

PRINCIPALI UNMET NEEDS DEI PAZIENTI CON IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE

Le immunodeficienze primitive non sono soltanto una diagnosi medica, ma una condizione che pesa molto sulla vita delle persone e delle loro famiglie. Come associazione, raccogliamo quotidianamente testimonianze che ci parlano di difficoltà ancora molto presenti e di bisogni non ancora soddisfatti. Uno dei problemi più gravi è il ritardo nella diagnosi. Troppi pazienti affrontano anni di infezioni, complicanze e incertezze prima di ricevere una diagnosi corretta. C’è ancora una scarsa conoscenza della malattia, sia tra i medici di medicina generale che a livello sociale. I tempi medi per una diagnosi corretta possono arrivare anche a 10-12 anni.

Un altro tema è l'accesso non uniforme alle terapie sul territorio nazionale. Le immunoglobuline sono terapie salvavita, ma non tutti i pazienti riescono ad accedervi con la stessa facilità. Esistono disuguaglianze territoriali evidenti: alcune Regioni garantiscono la continuità terapeutica, altre faticano a fornire anche il minimo indispensabile. Tutto dipende dai consorzi regionali, dal “piano sangue” e da logiche di appalto e di acquisti che non sempre tengono conto delle esigenze dei pazienti. Non è civile. In Toscana siamo molto fortunati, perché le forniture del trattamento per paziente sono di 3 mesi in mesi, mentre in altre Regioni, ad esempio, soltanto per 2 settimane.

I pazienti, in generale, non vogliono soltanto curarsi: vogliono vivere pienamente la propria vita, con dignità e serenità. È ciò che ci raccontano ogni giorno. Perché questo sia possibile, è fondamentale che nessuna persona si senta sola nel proprio percorso. Servono più informazione, più ascolto, più sostegno da parte delle istituzioni, ma anche da parte della società civile e delle strutture di accoglienza e di assistenza. Purtroppo, la realtà è ancora lontana: in alcune aree, dove ci sono centri di riferimento forti e gruppi locali attivi, i pazienti sono seguiti, ascoltati e accompagnati con attenzione. In altre, invece, si fa più fatica: manca continuità, mancano le risorse e quella rete che fa la differenza. Ed è proprio lì che bisognerebbe intervenire”.

DALLE INFUSIONI ALLA QUALITÀ DELLA VITA

“La possibilità di scegliere tra somministrazione endovenosa o sottocutanea è già un importante passo verso una medicina più personalizzata. L'evoluzione delle formulazioni - come nel caso delle immunoglobuline a rilascio prolungato - ha reso possibile ridurre il numero di infusioni, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Significa meno visite mediche, più tempo libero, più autonomia.

Inoltre, poter contare su terapie più gestibili favorisce anche la salute emotiva: ci si sente meno malati, più attivi nella propria vita. È fondamentale che le istituzioni, la ricerca e le aziende farmaceutiche continuino a dialogare per rispondere alle esigenze di cura sempre più specifiche e per costruire un sistema equo in cui nessuno sia svantaggiato dal luogo in cui vive. Come associazione, vediamo ogni giorno quanto le innovazioni terapeutiche possano fare la differenza. Per questo chiediamo più attenzione, più ascolto e più solidarietà: vivere con una IDP non dovrebbe significare rinunciare ai propri sogni, ma poterli realizzare con dignità”.

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