Dottor Andrea BensoDr. Benso, Città della Salute di Torino: “la terapia è solo per chi presenta determinate condizioni genetiche. Non è un farmaco sperimentale ma un’opportunità concreta per i pazienti”

La malattia di Fabry è una patologia rara caratterizzata dall’accumulo di glicosfingolipidi, in particolare globotriaosilceramide (Gb3), nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo, causata dalla carenza, geneticamente determinata, dell’enzima alfa galattosidasi A. Una complessa malattia multisistemica e progressiva, contraddistinta principalmente da un interessamento cardiovascolare, renale e del sistema nervoso, ma che coinvolge molti altri organi.

“Si tratta di una patologia metabolica, per la quale al centro dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, presidio Molinette, abbiamo oggi a disposizione una intera equipe multidisciplinare”, spiega Andrea Benso, specialista in endocrinologia e malattie del Ricambio della SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo (Direttore: Prof. Ezio Ghigo), Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino. “Presso il nostro centro ci occupiamo di Fabry da molto tempo. Io personalmente ho iniziato a occuparmene da circa 12 anni, contribuendo ad attivare la metodica di valutazione dell’attività dell’alfa-galattosidasi presso il nostro laboratorio. Il dosaggio enzimatico è il primo passo per una diagnosi, quantomeno nel maschio, che deve essere comunque confermata a livello genetico. Nelle femmine eterozigoti il dosaggio enzimatico non è conclusivo, ed è necessario il test genetico. Spesso, nel soggetto adulto, il sospetto diagnostico viene posto dallo specialista nefrologo o cardiologo, perché la sintomatologia più evidente comprende una compromessa funzionalità renale e una ipertrofia cardiaca (o, nei casi più gravi, una cardiomiopatia)”.

“Per analogia, potrei paragonare la malattia di Fabry con la malattia diabetica”, prosegue lo specialista. “Patologie con sintomatologie più evidenti a carico di alcuni organi, ma di estrema complessità clinica. Per questo motivo, negli anni abbiamo creato un gruppo dedicato alla diagnosi della malattia che comprende cardiologi, nefrologi e neurologi, dedicati e con competenza specifica sulla malattia di Fabry. Pertanto, una volta confermata la diagnosi, al fine di valutare le manifestazioni di malattia a livello multisistemico, la persona con malattia di Fabry viene avviata a una serie di accertamenti, generalmente eseguiti nella medesima giornata, i cui risultati, se patologici, vengono sottoposti all’attenzione dei diversi specialisti. Una volta confermata la diagnosi, è fondamentale estendere l’indagine diagnostica anche ai membri della famiglia, trattandosi di una patologia a trasmissione genetica legata al cromosoma X”.

Qualora vi sia indicazione a specifica terapia, è fondamentale iniziarla il prima possibile, in particolare quando si siano evidenziati danni d’organo anche minimi, riconducibili alla malattia di Fabry. Oggi abbiamo a disposizione due possibilità: la terapia enzimatica sostitutiva, che viene effettuata mediante infusione endovenosa ogni 15 giorni, e la terapia orale chaperonica, efficace sui pazienti che presentano alcune particolari mutazioni genetiche definite 'suscettibili'. “Si tratta di terapie che hanno un funzionamento diverso”, prosegue l’esperto. “La terapia enzimatica sostitutiva endovenosa permette di infondere direttamente l’enzima mancante, con una copertura di 15 giorni. Infatti, l’infusione deve essere ripetuta ogni 2 settimane e, in linea teorica, deve essere proseguita per tutta la vita. La terapia orale chaperonica invece, sfruttando un meccanismo d'azione molto innovativo, è in grado di ripristinare l’attività enzimatica in quei casi in cui risulti compromessa, ma che presentino mutazioni suscettibili. Anche in questo caso, la terapia va seguita per tutta la vita”.

È bene ricordare che la terapia orale non è una terapia sperimentale ma è a tutti gli effetti una possibilità concreta”, precisa Benso. “Esistono numerosi studi clinici che hanno dimostrato che questo farmaco dal meccanismo innovativo è in grado di ripristinare l’attività enzimatica in modo costante, con un conseguente impatto clinico positivo sulla malattia. Si tratta di una compressa che si assume a giorni alterni, lontano dai pasti. Il fatto di non doversi sottoporre a un’infusione endovenosa in ospedale ogni 15 giorni ha un evidente impatto positivo sulla qualità di vita. La prima persona a cui ho prescritto la terapia orale mi ha confidato, dopo alcune settimane, di non sentirsi più malata”. L’entusiasmo è contagioso, ma è bene ricordare che “la terapia orale non rende meno grave la malattia. E’ necessario seguirla correttamente, facendo attenzione ad assumerla lontano dai pasti e con costanza e regolarità”.

In generale, l’idea di dover seguire una terapia per tutto il resto della vita non è facile da accettare. “La diagnosi di Fabry può arrivare al paziente adulto così come al bambino. In tutti i casi c’è bisogno di un supporto psicologico, che troppo spesso il Servizio Sanitario Nazionale non offre”, conclude il dr. Benso. “In Piemonte non è autorizzata la possibilità, per chi effettua la terapia enzimatica sostitutiva, della terapia domiciliare. Questo può impattare fortemente sulle vite dei pazienti, che devono imparare a gestire lavoro, scuola, viaggi e vacanze. La terapia orale migliora decisamente questo aspetto: dobbiamo però ricordare che non è disponibile per tutti i pazienti, ma solo per quelli che presentano alcune specifiche mutazioni genetiche”.

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