Al convegno AICH-Milano si parla del percorso fatto negli ultimi 20 anni. Assistenza ancora inadeguata, dalla ricerca invece le potenzialità da RNA-interferenti e trapianto cellulare

Milano - Quando si parla di Huntington si finisce, oggi, a parlare della storia dell’uomo. Se si guarda solo al presente, la malattia (o còrea) di Huntington è molto simile a tante altre patologie  rare, accomunate da errori di diagnosi, difficoltà nell’individuare centri di eccellenza adeguati e ripercussioni sociali e sul nucleo famigliare altissime. In Italia si stimano almeno 5 mila i malati, ma potrebbero essere molti di più. A queste persone si aggiungono 15 mila a rischio, che sono i loro familiari. Solo in Lombardia, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio e Metodi per la Salute dell’Università Bicocca di Milano, i malati di Huntington si aggirano tra i 500 e i 1000, ma sono solo 160 quelli contati dalla Regione.

 

A vent’anni dall’individuazione del difetto genetico che ha messo in luce il meccanismo neurodegenerativo della malattia, poco è cambiato nei confronti della presa in carico dei pazienti e l’Huntington resta una malattia considerata rara, che colpisce una persona su 10 mila, come tante altre. Molti, invece, gli sforzi fatti per creare una rete di interesse che ha coinvolto in tutto il mondo ricercatori, intere famiglie e decisori politici e ha condotto, in pochi anni, a importanti scoperte scientifiche e a cambiare il pensiero sociale sulla malattia. In occasione della Giornata della Malattie Rare, il convegno di AICH Milano “La chiamano danza ma si pronuncia malattia” racconta il percorso della Huntington dal 1993 ad oggi e parla di un futuro, scandito da questa malattia, che ha a che fare con l’evoluzione.

Dal Sudamerica al mondo scientifico
“Let’s go to Venezuela”, così iniziava a fine anni ‘70 la caccia al gene di Nancy Wexler, che con la famiglia aveva fondato la Hereditary Disease Foundation a seguito della morte della madre colpita dalla malattia di Huntington. Si era scoperto che nello stato sudamericano, nei pressi del lago Maracaibo, la malattia colpiva addirittura una persona su 10 a causa del suo carattere autosomico dominante che le aveva permesso, nel tempo, di essere trasmessa da una generazione all’altra e rimanere con altissima incidenza tra gli abitanti di una piccola comunità che si era trovata a vivere emarginata dalla società. Grazie agli studi genetici svolti in quest’area isolata, è stato possibile mappare il gene coinvolto nella malattia e individuare successivamente nella ripetizione anomala di un frammento di DNA, la tripletta CAG, il responsabile della sua insorgenza. Oggi sappiamo che il gene, sul cromosoma 4, codifica per la proteina huntingtina coinvolta nella regolazione di molte funzioni biochimiche del sistema nervoso centrale: quando è difettosa crea degli aggregati che intossicano il cervello, danneggiandone le funzioni motorie e cognitive in modo progressivo e fatale. Oggi sappiamo anche che le triplette CAG non sono di per sè una mutazione, perchè ognuno di noi ne ha un numero limitato in quel punto del genoma e molte persone ne hanno dalle 17 alle 35 senza manifestare la malattia. Chi ne ha più di 36, invece, si ammala. Alcuni studi lasciano intravvedere che maggiore è il numero di volte con cui questa sequenza specifica si ripete e più precoce è l’insorgenza della Huntington, tanto che un esordio psichiatrico giovanile può corrispondere in casi molto rari a una tripletta CAG ripetuta fino a 200 volte nel gene.

La drammatica danza dell’evoluzione
Una delle chiavi per affrontare l’Huntington, secondo i ricercatori, è capire da dove viene il gene per questa proteina e qual è il motivo per cui le triplette di CAG sono passate indenni attraverso 800 milioni di anni di storia evolutiva, dalla comparsa nella prima alga pluricellulare. Un percorso lungo e ancora nebuloso, che lascia però ipotizzare che alla base di questa malattia drammatica ci sia un ‘senso’ biologico.  Sembra che ci sia una sorta di spinta da parte dell’evoluzione a conservare queste “anomalie”, che forse non sono tali, nel gene per la huntingtina attraverso i millenni ma non si trovano ancora delle spiegazioni scientificamente validate. Tutto quello che si sa è che il gene con un numero alto ma non patologico di CAG continua a essere trasmesso come se fosse alla base di un ipotetico vantaggio evolutivo.
Secondo le stime calcolate alla British Columbia da Michael Hayden e colleghi, entro il 2050 il Nord America darà i natali a un numero raddoppiato di casi.

Gli errori di mutazione sono anche opportunità

L’efficiente rete di collaborazione tra i ricercatori di tutto il mondo che si è stretta attorno alla malattia si focalizza sulle strategie per controllarne l’inafferrabilità.  “Una delle idee è quella di sviluppare farmaci che contrastino l’effetto tossico della proteina malata prevenendo la formazione di aggregati che portano alla neurodegenerazione – spiega Elena Cattaneo, neuroscienziata italiana che si occupa della Huntington – Un’altra strategia terapeutica potrebbe essere quella di sviluppare dei farmaci che potenzino l’effetto protettivo del gene sano, di cui il malato ne ha solo una copia mentre nei soggetti sani è presente in duplice copia. Probabilmente la strategia che sta spalancando veramente le porte alla speranza, sono gli RNA-interferenti: si è scoperto che è possibile creare in laboratorio delle molecole di RNA artificiali capaci di attaccarsi come dei pezzetti di scotch sul gene malato togliendogli la possibilità di produrre la proteina malata. Questa è una strada da guardare con grandissima attenzione e la fondazione americana C.H.D.I. (Cure Huntington’s Disease Initiative che ogni anno investe 200 milioni di euro solo su questa malattia), sulla base di conferme su modello animale, afferma pubblicamente che nel giro di 2-3 anni potrebbero essere pronti a sperimentarla a livello clinico, cioè con una sperimentazione per capire se può funzionare anche nell’uomo. Si tratterà di una sperimentazione, che può sempre fallire ma pensare di poterci arrivare grazie alle evidenze sull’animale rende conto di quanto forte sia la pressione e la determinazione”.


I ricercatori stanno percorrendo anche la strada del trapianto di cellule staminali e che potrebbe interessare non solo l’Huntington ma anche altre malattie neurodegenerative. Al CattaneoLab, Università degli Studi di Milano, sono già stati ottenuti dei neuroni in vitro partendo da staminali embrionali umane ma devono ancora essere perfezionati per un possibile trapianto. La scienziata italiana coordina un Consorzio (Neurostemcell) finanziato dalla comunità europea con 12 milioni di euro, della durata di 5 anni e che coinvolge 15 gruppi di lavoro internazionali per sviluppare i neuroni perfetti da trapiantare nei malati di Huntington e quelli efficaci per il Parkinson.

Se da un lato la comunità scientifica ha unito gli sforzi per avere la stessa spinta dell’evoluzione, dall’altra rimangono dei quesiti in sospeso sull’evoluzione di una malattia che lascia ipotizzare un ‘senso’ alla sua radice. Se esiste un vantaggio evolutivo, può questo essere sfruttato oggi nella malattia? A fianco dell’evoluzione, che potrebbe dare delle risposte tra milioni di anni, ci sono i malati di Huntington e il dramma dell’ereditarietà all’interno del nucleo famigliare che, invece, fa parte del presente e del futuro prossimo. “Tutto fa pensare a questa direzione del ‘senso’, non possiamo negarlo, ma sono solo ipotesi scientifiche – commenta Claudio Mustacchi, vicepresidente di AICH-Milano - Dal punto di vista del paziente penso che ognuno sia consegnato alla propria storia individuale e tutto ciò abbia un’importanza relativa. Non è che il malato Huntington abbia qualcosa di speciale perchè un’ipotesi scientifica lo mette, forse, al più alto gradino della scala evolutiva. E’ interessante crederlo, anche per provare a vedere la malattia e il futuro di tutti noi con altri occhi. Ma oggi oltre a questo ci sono dei diritti, quelli dei malati, che riguardano tutti e la necessità di difenderli insieme agli altri.”

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni