Il trattamento potrebbe associarsi alla terapia enzimatica. Per ora la sperimentazione è sugli animali
Secondo uno studio americano appena pubblicato su Genetics in Medicine un farmaco anticancro sarebbe in grado di contribuire notevolmente al miglioramento dei pazienti pediatrici con la più grave forma della malattia di Pompe.
Un gruppo di ricercatori della Duke University ha infatti progettato un nuovo trattamento per la rara patologia lisosomiale da associare alla terapia enzimatica sostitutiva (ERT). Alcuni pazienti, che presentano combinazioni particolari di mutazioni genetiche, possono sviluppare una grave risposta immunitaria alla terapia sostitutiva. Livelli molto elevati di anticorpi si scagliano contro l’enzima, riducendo notevolmente il suo effetto terapeutico e i conseguenti benefici sul paziente.
Già qualche mese prima i ricercatori avevano segnalato il successo nella prevenzione del rigetto immunitario dei neonati con malattia di Pompe che si apprestavano a iniziare l’ERT. Trattando i pazienti con un cocktail di farmaci a base di base dosi di rituximab, metotressato e immunoglobuline avevano infatti ottenuto un miglioramento iniziale, che era poi però diminuito fino a bloccare l’effetto della sostituzione enzimatica.
Dopo aver svolto alcuni test sui modelli murini di malattia di Pompe i ricercatori hanno aggiunto al cocktail anche bortezomib, un inibitore del proteosoma. Il farmaco, approvato dalla FDA per il trattamento di mieloma multiplo e del linfoma a cellule mantellari, ha dato –secondo lo studio in questione – risultati soddisfacenti.
I ricercatori hanno messo a punto un protocollo clinico per i pazienti per i quali il trattamento convenzionale non sia andato a buon fine e parallelamente stanno sviluppando dei trattamenti che mirino specificamente agli antigeni che scatenano la risposta immunitaria alla ERT, che possa ridurre al minimo l’impatto generale sul sistema immunitario dei pazienti.
Secondo il Dott. Kishnani, primo autore dello studio, esiste anche la possibilità che questo approccio possa essere applicato ad altre patologie lisosomiali, come la mucopolisaccaridosi e la malattia di Fabry, ma si tratta solo di una ipotesi in quanto l’esperimento non è stato tentato sui modelli animali di queste patologie.
Seguici sui Social