A Padova si sono confrontati i rappresentanti italiani delle tre Reti Europee di Riferimento per la malattia
Nel mondo delle malattie rare, l’espressione “fare rete” ha un significato molto più allargato di quello che siamo soliti attribuirle sul piano sociale. Significa prima di tutto una multidisciplinarietà nella gestione dei pazienti, che poi si concretizza in una più alta qualità dell’assistenza. Un messaggio, questo, lanciato anche nel corso del primo meeting tra tre grandi Reti di Riferimento Europee (ERN) che si occupano di condizioni rare e complesse: nello specifico la rete Endo-ERN, dedicata alle patologie di tipo endocrino, la rete ERKNeT, riservata alle disfunzioni renali, e la rete ERN-BOND, rivolta alle malattie delle ossa.
Il convegno, dal titolo “Disorders of phosphate imbalance: a dysregulation of the FGF23 endocrine system”, si è svolto l’8 ottobre a Padova, presso l’Auditorium dell’Orto Botanico, ed è stato dedicato ai disordini del metabolismo del fosfato, in particolar modo all'ipofosfatemia legata all'X (XLH), anche conosciuta come rachitismo ipofosfatemico legato all’X, una patologia che ha un’incidenza di circa 3,9 casi ogni 100.000 individui e che è dovuta ad un difetto del trasporto del fosfato a livello dei tubuli renali.
I fosfati sono composti a base di fosforo, un elemento essenziale per la funzionalità della cellula, in quanto coinvolto in gran parte dei processi energetici, nei meccanismi di segnalazione cellulare, nella sintesi di acidi nucleici e nel mantenimento della funzionalità delle membrane cellulari. Inoltre, svolge un ruolo essenziale per la salute delle ossa e dello scheletro, dove si trova l’85% della quantità totale di questo minerale nel nostro organismo. Pertanto, un’alterazione del riassorbimento del fosforo nei tubuli renali può compromettere il normale processo di mineralizzazione delle ossa, dando origine a patologie come l’ipofosfatemia legata all’X (XLH), che è caratterizzata da bassa statura, ritardo della crescita, anomalie scheletriche (specie a danno degli arti inferiori), aumento del rischio di fratture, osteo-artrosi, debolezza, crampi muscolari intermittenti e dolori articolari.
La XLH è una malattia ereditaria provocata dalla mutazione del gene PHEX, un difetto che è alla base di un eccessivo aumento di produzione della proteina FGF23, implicata proprio nella regolazione del metabolismo del fosfato. Nell’ipofosfatemia legata all’X, quindi, la misurazione dei livelli di FGF23 diventa un elemento rilevante anche sul piano diagnostico, in grado di completare il quadro restituito dai test genetici e dalle analisi radiologiche e di laboratorio (tra cui il dosaggio della vitamina D, della fosfatasi alcalina e del paratormone).
È importante sottolineare come l’alterazione dei livelli di FGF23 si riscontri anche in altre patologie come, ad esempio, l’ipercalcemia idiopatica infantile, a testimonianza del ruolo di primo piano che questa particolare proteina riveste nell’ambito dei disordini della via del fosforo. Inoltre, dal punto di vista clinico, un aumento di FGF23 può avere ricadute non solo sulle ossa ma anche sul cuore, sul fegato e sul sistema immunitario, essendo associato a un aumento dei decessi per cause cardiovascolari o epatiche in individui con gravi quadri di insufficienza renale cronica.
Tra le patologie correlate a FGF23, all’incontro di Padova è stato posto un accento particolare proprio sull’ipofosfatemia legata all’X, una malattia rara e sottodiagnosticata che, per via delle sue implicazioni endocrine, renali e ossee, si trova esattamente all’incrocio delle aree di competenza delle reti Endo-ERN, ERKNeT ed ERN BOND. Tutto ciò, come è stato evidenziato nel corso del convegno, implica una visione comune da parte dei singoli esperti coinvolti, che tenga in seria considerazione l’importanza della multidisciplinarietà nella diagnosi e nella presa in carico dei pazienti con XLH, e la necessità di definire i centri specializzati entro cui debbano snodarsi i percorsi di cura dei malati, soprattutto ora che per la patologia è disponibile una nuova terapia, la prima ad essere specificamente mirata proprio alla proteina FGF23.
Lo scorso anno, infatti, è stato approvato in Europa l’anticorpo monoclonale burosumab (nome commerciale Crysvita), indicato per il trattamento della XLH nei bambini di almeno 1 anno di età e negli adolescenti con scheletro in crescita. Il farmaco, da poco disponibile anche in Italia, ha dimostrato di poter ripristinare i livelli di fosfato e diminuire la fosfatasi alcalina, di produrre miglioramenti importanti a livello osseo, con una riduzione della gravità del rachitismo e del dolore associato, e di portare anche benefici funzionali, misurati mediante il test del cammino in 6 minuti (6 Minutes Walk Test). Per questo motivo, è importante far sì che vi sia una sempre più efficace trasmissione delle conoscenze sulla XLH, non solo verticalmente ma anche trasversalmente, al fine di seguire al meglio i malati e offrire loro la miglior assistenza possibile.
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