Il centro sardo ha lavorato molto sulla diagnosi prenatale, identificando 2.138 feti affetti dalla malattia. Nel 98% dei casi le donne hanno scelto l'interruzione della gravidanza
Cagliari – Con circa 100 milioni di portatori sani nel mondo la beta talassemia, o anemia mediterranea, è la più diffusa malattia genetica autosomica recessiva. Una ridotta o assente sintesi delle catene beta dell'emoglobina può provocare un'anemia che, nei casi più gravi, può anche essere fatale se non vengono eseguite delle trasfusioni di sangue ogni 15-20 giorni. L'unica terapia definitiva è il trapianto di midollo osseo, ma non sempre è un'opzione praticabile e comporta comunque un rischio di mancato attecchimento.
La malattia è diffusa – oltre che nel Pacifico, nei Caraibi e in Asia Minore – soprattutto nel bacino del Mediterraneo, a Cipro e nelle isole greche. In Italia le zone più colpite sono il Polesine, la Romagna (il Ferrarese), la Sicilia e soprattutto la Sardegna: nell'Isola i portatori sono il 10-12%, e i malati sono circa 1.000, l'80% dei quali è in cura all'Ospedale Microcitemico di Cagliari. Nel capoluogo sardo le campagne di prevenzione iniziarono già nel 1977; a farne un bilancio è il dr. Giovanni Monni, direttore della S.C. di Ostetricia e Ginecologia, Diagnosi prenatale e preimpianto, che con le colleghe Cristina Peddes, Ambra Iuculano e Rosa Maria Ibba ha recentemente raccontato questa esperienza sulla rivista scientifica Journal of Clinical Medicine.
“La beta talassemia è una malattia grave che può mettere in pericolo la vita del paziente e che può causare, oltre all'anemia, un aspetto dismorfico della faccia, malformazioni scheletriche, aumento del volume di fegato e milza (epatosplenomegalia), osteoporosi e complicanze infettive e cardiache dovute all'accumulo di ferro nel sangue. Trattandosi di una malattia autosomica recessiva, dall'unione di due portatori il 25% dei figli nasce affetto, il 25% sano e il 50% portatore sano”, spiega Monni.
La campagna di prevenzione del Microcitemico, negli ultimi quarant'anni, si è basata su programmi educativi e screening della popolazione mediante identificazione ematologica e molecolare dei portatori, ma anche sull’individuazione tempestiva dei feti affetti dalla malattia, diagnosi precoce oggi estendibile anche agli embrioni.
“Un tempo la diagnosi prenatale si eseguiva al quinto mese di gravidanza per verificare se il feto fosse patologico; oggi invece viene preferito il prelievo dei villi coriali per via transaddominale, a causa dei minori rischi di complicanze e perché consente una diagnosi più precoce, all'undicesima settimana. Il DNA dei villi coriali viene poi analizzato mediante PCR (polymerase chain reaction, una tecnica che consente la moltiplicazione di piccole quantità di cellule fetali)”, prosegue il dr. Monni. “Per le donne non ancora incinte è possibile invece la diagnosi genetica preimpianto, che consiste nell'eseguire un'analisi degli embrioni per rilevare eventuali anomalie genetiche o cromosomiche, prima di impiantarli nell'utero”.
Alle coppie a rischio, infatti, viene offerta la diagnosi genetica preimpianto, per evitare l'ipotesi di un'interruzione di gravidanza. La struttura cagliaritana ne ha eseguite un totale di 184: inizialmente, la procedura fu offerta esclusivamente alle coppie infertili, secondo la legge in vigore; da quando poi sono state apportate sostanziali modifiche alla legge e la diagnosi genetica è stata offerta anche alle donne fertili, il tasso di successo delle gravidanze è aumentato dall'11,1 al 30,8%. In 40 anni sono state eseguite all'Ospedale Microcitemico 8.564 procedure di diagnosi fetale di beta talassemia, con diversi approcci e tecniche di analisi, e sono stati diagnosticati 2.138 feti affetti: la mutazione più comune è risultata essere la beta 39. Le donne hanno optato per l'interruzione della gravidanza nel 98,2% di questi casi.
“Fino a qualche decennio fa in Sardegna nascevano circa 120 bambini l'anno con beta talassemia. Oggi, nonostante la riduzione della natalità, su una popolazione di 1.650.000 abitanti nascono in media 3-5 bambini affetti l'anno, da donne che pur conoscendo la diagnosi scelgono ugualmente di proseguire la gravidanza”, sottolinea Monni. “La prospettiva futura per la beta talassemia è la terapia genica: attualmente ci sono delle sperimentazioni in corso negli Stati Uniti e in Olanda, anche se questa tecnologia ha fatto sorgere altre problematiche di tipo infettivo e tumorale”.
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