Evento su malattie rare, biotecnologie ed empowerment del paziente

Talassemia, adrenoleucodistrofia, malattie metaboliche: tante le innovazioni in diagnosi e terapia

Conoscere gli aspetti di una specifica patologia, saperla diagnosticare in tempi precoci, essere in grado di intervenire efficacemente per limitarne i danni e poter addirittura sperare nella disponibilità di un farmaco che ne blocchi i sintomi, o persino di una cura definitiva, magari grazie all’arrivo di una terapia avanzata: oggi, per alcune malattie rare, tutto ciò è una realtà. Le biotecnologie hanno dato un’enorme accelerazione a questo progresso scientifico, a sua volta accompagnato da un deciso cambiamento del ruolo dei pazienti, che da ‘oggetti’ della ricerca sono diventati soggetti sempre più attivi, consapevoli dei loro diritti ed esperti nei processi che li riguardano. In poche parole, biotecnologia ed empowerment sono andati di pari passo.

E’ proprio questo l’argomento di cui si è discusso al Cardarelli di Napoli, nel corso dell’incontroL’empowerment e l’educazione dei pazienti nella transizione verso le innovazioni biotecnologiche, promosso, in occasione della European Biotech Week, dall’azienda bluebird bio, impegnata nella ricerca di terapie innovative per malattie rare come la talassemia e l’adrenoleucodistrofia. Come ormai sta diventando sana abitudine nel mondo delle patologie rare, l’evento è stato organizzato in collaborazione con il mondo associativo, in particolare con l’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia Onlus, la Fondazione “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Talassemia e l’AISMME (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie). 

In una sala piena di ospiti, si è parlato di biotecnologie ed empowerment dei pazienti, un binomio in grado di migliorare la presa in carico del malato, rafforzare l’alleanza medico-paziente e portare ad un dialogo trasparente, aperto e costruttivo, al cui interno l’azienda farmaceutica rappresenti una delle parti, non la ‘controparte’, come erroneamente percepita a volte. Nell’ambito della medicina, infatti, l’interesse di tutti coincide, se pur da differenti punti di vista: l’obiettivo è portare nuove soluzioni in grado di migliorare la vita dei pazienti, che siano terapie o nuovi modelli di presa in carico.  

Dopo una breve introduzione da parte della dottoressa Gabriella Pasciullo, direttore medico di bluebird bio, che ha sottolineato l’importanza per le aziende di ascoltare in modo attento il mondo associativo, ad emozionare il pubblico è stata Andreana Pecovela, vice presidente dell’associazione Gocce di vita e membro della Fondazione Giambrone. Oltre ad occuparsi da circa 30 anni delle donazioni di sangue, fondamentali per garantire la sopravvivenza dei malati di talassemia, in massima parte dipendenti da trasfusioni ematiche croniche, la Fondazione Giambrone sta anche lavorando affinché i pazienti siano non solo informati sulle novità terapeutiche che si stanno affacciando sul panorama internazionale, ma partecipino anche alla costruzione di modelli di presa in carico che, al di là della terapia, possano essere sempre più efficienti.

Dal 1880, quando sono stati posti i primi tasselli per la conoscenza di questa malattia, ad oggi che speriamo nella terapia genica, per la talassemia è cambiato tantissimo”, ha spiegato Pecovela. “Siamo passati dal talassemico con pancia prominente, cranio a spazzola, malformazioni dentali e prospettiva di vita breve, al paziente che oggi, grazie al continuo progredire delle cure, ha raggiunto un’età media elevata e con una buona qualità di vita: i talassemici sono dei malati cronici, che diventano adulti e che hanno bisogni specifici: tutti questi aspetti fanno sì che la terapia si evolva e si proietti sempre più verso l’adulto, con un miglior trattamento del dolore, un maggiore accesso alla ricerca e alle nuove terapie, un’assistenza specialistica interdisciplinare e globale, un supporto psicosociale e una stabilità nelle relazioni tra paziente e operatore. L’ascolto, da parte dei medici, è fondamentale, soprattutto nel momento della transizione all’età adulta, quando il paziente diventa responsabile della terapia e della propria vita. È in questo momento che può diventare anche un ‘paziente esperto’ ed entrare in un processo di dialogo costruttivo con tutti gli stakeholder, per aver peso nelle decisioni che lo riguardano, dalla donazione del sangue all’organizzazione dei percorsi di cura”.

Perfettamente in linea con questa visione, seppur da un diverso punto di vista, l’intervento del prof. Aldo Filosa, Direttore U.O.S.D. Malattie Rare del Globulo Rosso, Ospedale Cardarelli, che è riuscito a mostrare in maniera chiarissima come in pochi decenni le prospettive di vita delle persone con talassemia siano notevolmente migliorate. Nelle slide proiettate, sono state tracciate le diverse curve di sopravvivenza dei pazienti, quelle degli anni ‘60, quelle migliori di oggi e, infine, una linea verde, orizzontale, tracciata in corrispondenza della vita media di un soggetto sano: è questo il traguardo che si spera, ragionevolmente, di poter raggiungere nei prossimi anni, per merito delle nuove terapie ma non solo. Importante è anche un dialogo sempre più costruttivo tra medico e paziente, che porti ad una migliore gestione della malattia, dalle trasfusioni al monitoraggio degli accumuli di ferro, fino alla costruzione di percorsi di presa in carico che siano adeguati ad un talassemico che da bambino diventa ormai adulto, con bisogni specifici.

Grandi mutamenti in corso anche per l’adrenoleucodistrofia, patologia genetica molto rara, che si manifesta nel mondo in un neonato maschio ogni 21.000, ma degenerativa ed estremamente grave, poiché colpisce il sistema nervoso e alcune ghiandole endocrine. In rappresentanza dei pazienti, all’evento di Napoli era presente Valentina Fasano, presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia Onlus: “Da anni, AIALD è impegnata a raccontare e sensibilizzare il sistema salute sul vissuto dei pazienti affetti da adrenoleucodistrofia e delle loro famiglie, per renderlo patrimonio comune, favorendo il dibattito pubblico sulle linee guida per la gestione di questa patologia. È grazie a un costante confronto su problemi, criticità e bisogni dei pazienti che crediamo sia possibile identificare e proporre percorsi assistenziali in grado di determinare un reale miglioramento della loro qualità di vita, che passa certamente per terapie farmacologiche e trapianto, ma che non deve dimenticare altri aspetti che incidono moltissimo sulla vita di questi ragazzi, come ad esempio le particolari necessità alimentari, o il bisogno di essere costantemente seguiti una volta passati alla respirazione assistita. La nostra esperienza ci ha portato a constatare che la vita di questi ragazzi, e quella di chi si prende cura di loro, cambia moltissimo se i pazienti riescono ad accedere in maniera costante alla fisioterapia e all’osteopatia, in particolare alla terapia cranio-sacrale: purtroppo, sono pochi i terapisti formati per lavorare con questi ragazzi, e in ogni regione vengono date ore di fisioterapia differenti: alla fine, sono spesso i familiari che devono imparare come praticarla”.

L’adrenoleucodistrofia è una malattia grave che stiamo conoscendo sempre meglio”, ha spiegato la professoressa Marina Melone, UOC Neurologia 2 e Centro Malattie Rare, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. “La genomica sta portando ad una rivoluzione nella diagnosi e nella prognosi delle malattie. Oggi riponiamo molte speranze nella terapia genica, ma nel frattempo abbiamo il dovere di dare la giusta attenzione medica anche ad altri aspetti, come ad esempio la corretta nutrizione, poiché sappiamo con certezza che una dieta appropriata, e integrata con alimenti a fini medici speciali, può aiutare a contrastare gli effetti della malattia e proteggere la salute di questi pazienti, spesso giovanissimi”.

Infine, un accento particolare è stato posto sull’importanza di una diagnosi precoce, meglio ancora se effettuata con lo screening neonatale, che consente di intervenire immediatamente, prima che insorgano i danni della malattia. Il tema è stato affrontato da Manuela Vaccarotto, vice presidente dell’Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME) e dal prof. Giancarlo la Marca, Responsabile U.O.S. Diagnostica Malattie del Sistema Nervoso e del Metabolismo, Screening Neonatale, Biochimica e Farmacologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, entrambi membri del Centro di coordinamento screening neonatale dell’Istituto Superiore di Sanità.
 
 “In Italia, le terapie avanzate sono ormai una realtà per il trattamento di gravi patologie, incluse quelle rare”, ha dichiarato Manuela Vaccarotto. “Come AISMME, siamo convinti che per poter beneficiare appieno delle nuove terapie, e garantire ai pazienti una prospettiva concreta di miglioramento, sia necessario promuovere sempre più la diffusione di strumenti di diagnosi precoce in grado di individuare tempestivamente patologie che possono determinare gravi conseguenze sulla vita di chi ne è affetto”.  

“La tecnologia, oggi, ci consente di avere test diagnostici precisi, veloci ed economici”, ha aggiunto la Marca, che è anche presidente della SIMMENS, la Società Italiana di Malattie Metaboliche e Screening Neonatale. “Quando, oltre a queste, per una data malattia abbiamo anche una terapia efficace, o delle sperimentazioni in corso, allora abbiamo le condizioni per poter fare lo screening: l’adrenoleucodistrofia, oggi, è in questa situazione e un suo inserimento nello screening neonatale nazionale dovrebbe essere preso in considerazione, così come anche per altre patologie”.

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