In Sicilia è in corso un progetto di studio per raccogliere campioni di DNA dai membri di una famiglia colpita da questa rara malattia da prioni
I primi campanelli di allarme compaiono tra i 20 e i 60 anni, nella maggior parte dei casi intorno ai 50 anni, e dalle prime manifestazioni l’aspettativa di vita va da 1 a 10 anni, con una media di 5 anni: parliamo della sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker (GSS), una particolare forma di encefalopatia spongiforme trasmissibile umana, dovuta a una mutazione o a inserzioni di nucleotidi nel gene PRNP, che codifica per la proteina prionica. È una malattia ereditaria e si trasmette da genitore al figlio con una probabilità del 50%. Non esiste oggi un farmaco per curare la patologia e tanti sono ancora i punti interrogativi a cui la ricerca sta cercando di dare risposta. Quello che è certo è che si tratta di una condizione che stravolge la vita delle persone affette e dei loro familiari e caregiver.
Una malattia rara in una famiglia numerosa
“Noi viviamo in Sicilia, in provincia di Ragusa, e la nostra famiglia è molto grande. Le capostipiti sono 3 sorelle da cui discendono tre nuclei familiari: uno di 58 persone, il secondo di 36 persone e il terzo, più piccolo, di 5 persone”, spiega Giovanni, giovane discendente di questo cluster familiare di GSS. Tutte e tre le sorelle capostipiti hanno ereditato il gene mutato dalla madre e lo hanno trasmesso alle rispettive famiglie. La più longeva delle 3 sorelle ha raggiunto la soglia degli 80 anni senza sintomi ma, considerando le statistiche, non solo di questo cluster, si tratta di un caso rarissimo.
“Il nostro medico referente in Italia è il prof. Gianluigi Zanusso, neurologo all’Università di Verona e specializzato in malattie da prioni”, spiega Giovanni. “Il prof. Zanusso si è messo subito a disposizione della nostra famiglia ed è anche il nostro intermediario con esponenti scientifici stranieri che stanno lavorando sul tema, con cui sono già stato messo in contatto”.
“Mia nonna - prosegue il giovane - ha cominciato a stare male all’età di 58 anni. Non capivamo cosa fosse e abbiamo iniziato le prime visite neurologiche nel 2014: si trattava di atassia cerebellare. Nel frattempo, mio cugino, di soli 29 anni, non riusciva più a camminare. Ad aprile del 2016 ho assistito per la prima volta a una visita di mia nonna presso lo stesso neurologo che aveva visitato mio cugino qualche mese prima: ricordo che il neurologo sottolineò delle similitudini con ciò che aveva avuto modo di vedere su mio cugino. Da lì i primi sospetti, ma senza nessuna certezza. La conferma è arrivata a settembre del 2017, quando l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano diagnosticò a mio cugino la mutazione P102L del gene PRNP, associata alla sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker. Qualche anno dopo mia mamma decise di effettuare il test genetico: anche lei aveva ereditato la mutazione P102L da mia nonna. Sono stato tenuto all’oscuro di ciò fino all’anno scorso. Adesso, purtroppo, mia mamma, all’età di 50 anni, inizia a non stare più bene. Delle 102 persone totali che compongono la famiglia ne sono già decedute nove tra nonne, zie e anche cugini, tra i 50 e i 55 anni, e si stanno aggravando sempre di più le condizioni di un mio cugino - il più giovane della famiglia ad avere ereditato la malattia - e di altri membri. Stiamo assistendo a un susseguirsi di funerali senza tregua. Tra i miei familiari i sintomi compaiono intorno ai 50, con difficoltà a parlare, a camminare e a coordinare i movimenti; poi, nel giro di pochi anni, tutte le funzionalità motorie e mentali risultano compromesse e non consentono di condurre una vita in autonomia”.
L’impatto psicologico della GSS è devastante sia per chi si vede spegnere man mano, sia per i familiari che lo assistono e che purtroppo non possono fare molto oltre a stargli vicino e sperare che intanto arrivi qualche novità terapeutica.
Dato che il decorso della malattia non è rapidissimo (ci sono altre malattie da prioni che hanno un’evoluzione decisamente più rapida, anche di pochi mesi), Giovanni, negli ultimi anni, ha cominciato a prendere contatti con i pochi gruppi di ricerca in giro per il mondo, per spingere nello studio di tutte le malattie da prioni facendo conoscere la storia della sua famiglia, e ha anche intrapreso un’attività di iniziativa personale che potrebbe essere molto utile per il mondo scientifico. In Sicilia, infatti, si sta raccogliendo la casistica di DNA delle persone affette da GSS presso il Laboratorio di Genetica Medica dell’Istituto di Ricerca Oasi di Troina, in provincia di Enna, dove vengono studiate le mutazioni del gene PRNP che sono causative della malattia stessa. Tale studio è seguito dal Dr. Michele Salemi: si tratta di una ‘collezione’ di DNA dei vari componenti della famiglia: ad oggi sono stati raccolti 20 campioni su 102.
“Stiamo parlando di una malattia neurodegenerativa rarissima, invece noi siamo molti: non potevamo restare a guardare”, spiega Giovanni. “Il progetto è un’iniziativa mia e di mio cugino, ma non siamo soli. La maggior parte della mia famiglia sta collaborando e ci sta seguendo in questo percorso. Ringrazio la dottoressa Luana Mandarà, genetista presso l’ASP di Ragusa, che mi ha collegato con l’Istituto di Ricerca Oasi di Troina. Tale Istituto sta facendo da centro di raccolta del DNA per la mia famiglia oltre a fare la diagnosi genetica della malattia: in questo modo, nel caso in cui partano progetti americani, europei o anche italiani, abbiamo la possibilità di prelevare parte di questo DNA e donarlo ai centri di ricerca che lo richiedono. Abbiamo strutturato tutto sia a livello tecnico che burocratico”.
Recentemente, Giovanni è stato contattato da un neurologo inglese della University College London (UCL), il prof. Simon Mead, perché si sta aprendo un progetto finalizzato a capire qual è l’età di insorgenza della malattia e, a tal fine, servono 1.000 campioni di DNA riguardanti tutte le malattie spongiformi da prioni ereditarie. La casistica di DNA dell’Istituto di Ricerca Oasi di Troina contribuirà a tale progetto. “Vorremmo allargare la banca dati coinvolgendo le altre famiglie affette da GSS”, aggiunge Giovanni. “Per tale motivo, siamo in contatto con associazioni italiane come l’AIGSS (Associazione Italiana Gerstmann-Straussler-Scheinker) e l’AIEnP (Associazione Italiana Encefalopatie da Prioni). Stiamo lavorando ad un modo semplice per ricevere i campioni di sangue a temperatura controllata da queste famiglie per poi analizzarli nel laboratorio di Troina”.
Le malattie da prioni, la diagnosi genetica e gli studi in corso
Il prof. Gianluigi Zanusso, che da circa trent’anni si occupa di malattie da prioni, evidenzia che le forme familiari non sono così rare, in particolare se consideriamo alcune mutazioni, come la E200K, responsabile della malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), che nello specifico in Italia è alquanto diffusa ma presenta una penetranza variabile, e cioè non tutti i soggetti portatori della mutazione si ammalano di CJD. Se un soggetto, invece, è portatore della mutazione P102L, che porta alla GSS, la sua probabilità di ammalarsi è del 95%.
Le malattie da prioni sono molto delicate non solo dal punto di vista medico, ma anche psicologico. “Prima di eseguire il prelievo per la ricerca della mutazione in soggetti che appartengono ad una famiglia affetta dalla forma genetica, si effettua una serie di colloqui che coinvolgono psicologo e genetista, per valutare il profilo psicologico di queste persone e capire saranno in grado o meno di ricevere l’informazione”, sottolinea il prof. Zanusso. “Inoltre, il risultato del test genetico deve essere comunicato in privato, da un team di esperti comprendente genetista e psicologo, convocando il paziente e spiegando il significato del risultato e tutti i possibili scenari che potrebbero potenzialmente presentarsi”.
“Ad oggi, per il trattamento di queste malattie non abbiamo nulla”, spiega Zanusso. “In passato, nella variante di CJD è stata provata la chinacrina, che però si è mostrata inefficace, anzi era addirittura tossica in quanto portava ad insufficienza epatica. Oggi, a scopo compassionevole, usiamo la doxiciclina che, in alcuni casi, prolunga un pochino la sopravvivenza: è un antibiotico che impedisce l’aggregazione delle proteine e, in questo caso, delle proteine prioniche. Tale farmaco è stato finora usato solo per pazienti CJD sporadici (ossia non ereditari e quindi già sintomatici) con probabilità di efficacia nulle: un fallimento già in partenza perché in questi casi la malattia è già esplosa”.
Sempre nel campo delle malattie prioniche genetiche, è in corso uno studio sulla doxiciclina che terminerà nel 2023 e che coinvolge pazienti con insonnia fatale familiare, non ancora sintomatici, in cui è presente la mutazione D178N. Anche per questa mutazione, come per la P102L, il rischio di ammalarsi per i soggetti portatori è molto elevato. Lo studio valuterà l’efficacia della doxiciclina dopo 10 anni di trattamento. “L’obiettivo è capire se tale antibiotico possa bloccare o posticipare l’esordio della malattia”, specifica Zanusso. “Lo studio ha previsto di trattare tutti i membri della famiglia, sia quelli con la mutazione che senza, quindi è uno studio in cieco. Questo è l’unico trial farmacologico ad oggi in corso sull’uomo in malattie genetiche da prioni”.
Dall’Unità MRC Prion presso la UCL di Londra è partito un test su una terapia a base di un anticorpo, chiamato PRN100, che si lega al prione normale bloccandone la replicazione e che, ad oggi, è stato valutato su pochi pazienti sintomatici che sono comunque deceduti. Tale anticorpo non è mai stato reso disponibile. "Purtroppo, il test sull’anticorpo PRN100 condotto alla UCL non era un vero e proprio trial clinico e i risultati non sono interpretabili in maniera conclusiva”, conferma il prof. Alfonso De Simone, Molecular Biology and Biological NMR Spectroscopy, Imperial College di Londra. È una dura lotta, ma dei progressi si stanno facendo nell’ambito generale delle malattie neurodegenerative. Ad esempio, il mese scorso, la FDA statunitense ha approvato, per la prima volta dopo 17 anni, un farmaco per l’Alzheimer. Sono fiducioso che nei prossimi anni nuovi approcci biotecnologici potranno portare innovazioni in tutto il settore delle malattie neurodegenerative, e speriamo presto anche per la malattia da prioni".
“Oggi esiste una potenziale terapia a base di un RNA antisenso che ha la funzione di bloccare l’espressione del prione normale; bloccando tale espressione, viene a mancare il substrato per la replicazione del prione patologico”, aggiunge Zanusso. “Lo studio iniziale è uscito due anni fa sul Journal of Clinical Investigation. I topi sono stati trattati con l’antisenso prima della inoculazione del prione infettivo, estendendo la sopravvivenza dopo l’inoculazione dal 60 al 90%. Quindi, i topi trattati in fase preclinica si ammalano con un significativo ritardo. Addirittura, i topi trattati con antisenso ma già sintomatici hanno avuto un rallentamento significativo della malattia. Ora gli stessi autori vorrebbero avviare un trial sull’uomo infondendo l’antisenso con lo scopo di bloccare l’espressione del prione e quindi il meccanismo di replicazione, come riportato in uno studio pubblicato su Lancet Neurology”. L’azienda Ionis Pharmaceuticals, che si sta occupando dello sviluppo di questa terapia, ha spostato l’inizio di questo trial sull’uomo al prossimo anno, perché sostiene di aver trovato degli antisenso più specifici e meno tossici che devono superare ancora dei test preclinici prima di arrivare sull’uomo”.
“Ad oggi non abbiamo ancora una terapia disponibile ma dobbiamo essere pronti ad avere tutte le informazioni sui pazienti per capire quali saranno candidabili al trattamento, perché la malattia da prioni si manifesta con un’ampia variabilità di fenotipi. Basti considerare che tra fratelli con la stessa mutazione, in un caso la patologia evolve in pochi mesi, nell’altro ci mette anche diversi anni. La GSS a breve durata ha un fenotipo clinico uguale alla CJD, mentre le forme più lente cominciano con disturbi dell’equilibrio e non mostrano, alla risonanza magnetica, lo stesso danno che si osserva nella CJD ma i segni di una patologia più lenta, come l’atrofia del cervello”, evidenzia Zanusso. “Oggi, con test sul sangue si conferma la presenza o meno della mutazione del genitore, ma abbiamo anche nuovi test sul prione che, attraverso il liquor o materiale prelevato con tampone nasale, riescono ad amplificare il prione malato e quindi a dare l’evidenza biologica che esiste un prione alterato. La strategia di creare una banca dati di DNA serve per identificare dei geni modulatori che possano influire sullo sviluppo della malattia. Ad esempio, il gene CYP4X1 del citocromo P450 può rendere i soggetti portatori della mutazione E200K più suscettibili o più resistenti, anticipando o posticipando l’età di esordio della malattia”.
I prossimi passi
“Ad oggi - conclude Zanusso - nel campo della GSS e delle malattie prioniche genetiche le cose importanti da fare sono due: capire le basi genetico-molecolari che spiegherebbero le diversità di manifestazioni della patologia nei membri della stessa famiglia; che possano agire da indicatori per trattare i soggetti portatori della mutazione che non hanno ancora manifestazioni cliniche ma che presentano i segni biologici di attività della patologia”.
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