Il libro è stato scritto da Raffaele Capperi, appena nominato Cavaliere della Repubblica dal Presidente Mattarella per il proprio impegno contro il bullismo
“Ve lo dico subito, ci tengo, è una storia a lieto fine”. Avverte i lettori fin dalle prime pagine della sua biografia, intitolata “Brutto e cattivo”, il 28enne Raffaele Capperi, nominato poche settimane fa Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per il proprio impegno contro il bullismo. Un problema, quello del bullismo, che Raffaele ha vissuto sulla sua stessa pelle fin da bambino, per via della malattia rarissima che lo accompagna dalla nascita: la sindrome di Treacher-Collins, che colpisce una persona ogni 50mila e che è nota al grande pubblico soprattutto grazie ad Auggie Pullman, il protagonista della pellicola statunitense “Wonder”, campione d’incassi.
Come Auggie, anche Raffaele, oltre ai problemi di udito e di respirazione, ha una malformazione del viso che gli rende la vita veramente complicata: è venuto al mondo senza né mento né zigomi, e con un orecchio gravemente compromesso. È soprattutto il suo aspetto, dunque, a mettere in difficoltà gli altri: all’asilo, quando lo vedono per la prima volta, i bambini piangono ed è il terrore dipinto sui loro volti a indicare a Raffaele che quello sbagliato sarà senz’altro lui: “Dovevo essere per forza io quello sbagliato, è la regola dei grandi numeri: se tutti ti guardano e piangono sei per forza tu quello spaventoso”. I bambini, però, presto si abituano e ciò che all’inizio avvertono come terrificante, con la frequentazione giornaliera diventa normale.
Tutti in paese conoscono Raffaele: non c’è nessuno a Monticelli d’Ongina, in provincia di Piacenza, che non abbia a mente il suo volto. Ma il ragazzo è ostinato. Se i bambini mostrano diffidenza nei suoi confronti, ci passa sopra perché è un bambino anche lui e vuole giocare con gli altri. Se i ragazzi lo prendono in giro, sceglie di ridere con loro per non restare isolato. Se i compaesani gli tirano brutti scherzi, non smette di frequentare il bar che è stato teatro della beffa. Come quando qualcuno lo convince con l’inganno a inviare una sua foto intima per poi sghignazzarci su al bancone del bar e metterla in mostra davanti a tutto il paese.
Nel frattempo Raffaele prosegue la sua vita: un intervento chirurgico dopo l’altro, insegue imperterrito il sogno di conquistare un aspetto normale. La sua più grande aspirazione è passare inosservato; leggere indifferenza negli occhi degli altri è il suo sogno segreto. “Essere indicati è una cosa orribile, è come avere puntato addosso un fucile. Solo che non spara pallottole, ma qualcosa che ti entra dentro e non ti lascia più”, scrive. Se poi la diversità riguarda il tuo viso, le cose si mettono ancora peggio, “perché il volto, alla fine, è una porzione speciale del nostro corpo. Non vale quanto un piede o una mano, dal punto di vista estetico. Rappresenta la nostra identità”.
Gli adulti, però, stentano a comprendere quanto l’aspetto possa essere importante per un ragazzo. Sono, invece, i compagni di scuola a festeggiare, insieme a Raffaele, ogni volta che un intervento chirurgico aiuta il loro amico a recuperare un pezzetto di normalità. Saranno necessarie ben sette diverse operazioni per donare a Raffaele un aspetto che possa farlo sentire a proprio agio, ma prima di raggiungere finalmente l’equilibrio dovrà passare attraverso tante sofferenze, umiliazioni e delusioni. Spesso sono proprio gli adulti a dire cose che feriscono: pensano che si tratti di una battuta, e invece colpiscono a fondo. Come quando, il giorno di Carnevale, un uomo che Raffaele conosce di vista, notandolo in costume, gli dice: “Pure la maschera ti devi mettere? Tu ce l’hai già”. Insomma, riflette il ragazzo, la disabilità e la diversità creano nelle persone dei problemi di percezione. Per loro, il dettaglio che rende diverso dagli altri l’individuo non è un elemento parziale, diventa l’individuo stesso.
Saranno i social, però, a determinare, una svolta nella vita di Raffaelle. “Può sembrare strano, ma sono stati i social, il luogo in cui l’insulto è più facile, ad aiutarmi”. All’inizio però non è così: Raffaele li teme, gli sembrano come una versione senza confini di Monticelli d’Ongina, il luogo dove spesso è stato costretto a interpretare il ruolo del ‘diverso’. E le prime esperienze, in effetti, sono sconvolgenti. Quando la sua fidanzata Linda posta una foto di loro due insieme, con il volto di Raffaele ben in vista, lo scatto viene immediatamente condiviso. Gli insulti piovono anche sulla povera Linda, colpevole, evidentemente, di essersi messa con un mostro. Ma saranno appunto quegli stessi social, dove la cattiveria corre senza freni, a indicare a Raffaele la strada da percorrere: “Di colpo, sapevo cosa fare della mia vita. Volevo essere per altri ragazzi come me, per ragazzi e ragazze additati perché diversi, la risposta che stavano cercando. E all’improvviso avevo capito. Dovevo mostrarmi. Dovevo farlo per me stesso e per loro, perché non avere paura e non nascondersi è la soluzione”.
Su TikTok i video di Raffaele cominciano a diventare virali, le persone che lo seguono aumentano vertiginosamente, ben oltre il giro degli amici. I commenti raccontano di atti di bullismo subiti, di difficoltà, solitudini, insicurezze. Raffaele brutto e cattivo diventa Raffaele e basta: parla, chatta, conosce persone che gli raccontano i propri problemi e gli chiedono consiglio. Insieme ai riconoscimenti e all’affetto, però, arriva comunque ancora l’odio: “Faccia da cavallo”, gli scrivono; “Deformato schifoso, fai paura”. Quelle parole fanno male, ma per Raffaele costituiscono un ulteriore stimolo ad andare avanti: comprende che è il momento di rispondere colpo su colpo, di intraprendere una vera e propria campagna contro il bullismo, un comportamento che punta a colpire le persone non per quello che fanno, ma per quello che sono. “Il fatto è che non ci rendiamo conto di quanto sia facile, con le parole, ferire qualcuno”, sottolinea Raffaele. “Le parole sono potentissime, sono armi affilate e pericolose, e per questo bisogna farne buon uso”.
La storia potrebbe terminare qui, ma prosegue fino all’invito sul palco della trasmissione “Tù sì che vales”. Per Raffaele, che è cresciuto guardando “Amici” di Maria De Filippi, è la soddisfazione più bella. Soprattutto, sa bene che la TV rappresenta un’impareggiabile occasione per fare sentire la propria voce anche a quegli stessi bulli che, magari, agiscono solo per leggerezza, senza rendersi conto di quanto possano fare male le loro parole. Ed è in primo luogo a loro che si rivolge quando, nelle pagine finali del volume, lancia il suo auspicio più sentito: “Mi raccomando, siamo gentili. Siate gentili”.
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