I ragazzi con disabilità e BES sono in classe da soli, mentre la DAD è negata a chi davvero ne ha bisogno
Un recente rapporto ISTAT dedicato all’analisi dell’inclusione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità riporta che, nell’anno scolastico 2020-2021, sono più di 300mila gli alunni con disabilità che hanno frequentato le scuole italiane, circa 4mila in più rispetto all’anno scolastico precedente (+2%).
Ai bambini con disabilità e BES è di fatto stata garantita la didattica in presenza, anche quando la classe ricorreva alla didattica a distanza (la famigerata DAD). Misura decisamente apprezzabile: è stato offerto il maggior supporto a chi ne aveva più bisogno, secondo il principio dell’equità. Stiamo però davvero parlando di inclusione?
Come ben sappiamo, il protrarsi della crisi pandemica, oltre al regime di isolamento e quarantene imposto a inizio 2022, su cui incide pesantemente lo stato delle vaccinazioni, sta sfociando in queste settimane post natalizie in un conseguente protrarsi della DAD, che da sempre rende più difficile il processo d’inclusione scolastica, ostacolando l’interazione tra i coetanei e limitando la partecipazione alla didattica. Tuttavia, rispetto all’anno precedente, l’ISTAT registra un aumento dei livelli di partecipazione e una organizzazione scolastica più adeguata.
Le disposizioni differenziate, sulla base dei colori assegnati alle regioni, introdotte a ottobre 2020, hanno generato un panorama di prestazioni molto eterogeneo, con una maggiore attività in presenza nelle scuole del primo ciclo e un più ampio ricorso alla DAD nelle scuole del Sud Italia dove le restrizioni sono state maggiori.
In generale, tuttavia, la riduzione dei periodi di sospensione, insieme a una migliore organizzazione da parte delle scuole, hanno determinato un aumento considerevole dei livelli di partecipazione degli alunni con disabilità alla didattica a distanza, con una quota di esclusi che si attesta al 2,3% rispetto al 23% registrato 2019-2020. Quota che sale al 3,3% nelle scuole del Mezzogiorno, con punte del 4% in Calabria e in Campania.
I motivi principali – sintetizza il Rapporto ISTAT – che hanno limitato la partecipazione degli alunni con disabilità alla didattica a distanza sono: la gravità della patologia (26%), il disagio socio-economico, la difficoltà organizzativa della famiglia (entrambi al 14%) e la mancanza di strumenti tecnologici adeguati (11%). Per una quota meno consistente di ragazzi il motivo dell’esclusione è dovuto alla difficoltà nell’adattare il Piano Educativo per l’Inclusione (PEI) alla didattica a distanza (6%) e alla mancanza di ausili didattici specifici (2%).
Si tratta di numeri che potranno anche essere in miglioramento, ma ci parlano in ogni caso di bambini e ragazzi privati di uno strumento d’inclusione come l’ambiente scolastico.
Siamo davvero certi che il ricorso alla DAD – fosse anche realizzata sotto forma di Didattica Digitale Integrata (DDI), con parte dei ragazzi a scuola e altri a casa – rimanga uno strumento così imprescindibile per contenere i contagi da Covid-19?
Attualmente le regole scolastiche non tengono conto del fatto che almeno 25,74% della popolazione 5-11 risulta vaccinata con una dose, un 5,84% con già la seconda dose e un 6,30% di bambini nella stessa fascia d’età risulta guarito da meno di 6 mesi da un’infezione da Coronavirus (Fonte: Governo.it). Eppure, se nelle scuole relative alla fascia d’età analizzata avviene un contatto con più di un alunno positivo, la DAD è d’obbligo senza esclusione. Anche per chi ha completato il secondo ciclo vaccinale ed è guarito, quindi dotato di green pass. Una scelta discutibile (quella fatta dal Ministero dell’Istruzione con il DL 1/2022 e la Circolare interministeriale dell’8 gennaio 2022), che di fatto priva del diritto all’esenzione della quarantena (prevista dall’attuale normativa) i bambini e, come conseguenza inattesa, priva tutti gli alunni con disabilità della presenza dei compagni che potrebbero invece restare in classe insieme a loro. Considerando che per i bambini dai 6 anni d’età l’uso della mascherina e l’attuazione delle misure di distanziamento sono già obbligatorie.
Le polemiche imperversano su tutte le pagine dei quotidiani nazionali, mentre il Ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi, intervistato nei giorni scorsi da Radio24, ha detto che è in corso una “riflessione” per semplificare la certificazione del rientro a scuola degli alunni che sono stati contagiati dal Covid e hanno superato la malattia, aggiungendo che “al di là della formula con cui si rientra, è importante che il rientro ci sia stato e che si è affermato il principio che la scuola è in presenza, ed è un diritto”.
Resta però un altro problema che il Ministro non ha considerato, quello legato invece alle famiglie in situazione di fragilità che da settimane chiedono che i propri figli possano ricorrere alla DAD per non mettere a rischio fratelli e sorelle, o genitori con patologie rare, disabilità gravissime o patologie oncologiche. Lo Sportello Legale dell’Osservatorio Malattie Rare ha ricominciato a ricevere decine di richieste in tal senso da quando la situazione nazionale dei contagi si è aggravata drammaticamente.
Nel 2020 il Ministero aveva fornito delle chiarificazioni in merito, riassunte qui, attraverso le quali di fatto ha negato questa possibilità, demandando qualsiasi decisione all’autonomia scolastica, che di fatto deve fare i conti principalmente con l’assenza di risorse dedicate. Ora siamo di nuovo tornati ad assistere a situazioni in cui i Dirigenti Scolastici paventano come unica alternativa per queste famiglie l’educazione parentale, così come denunciato grazie anche ai microfoni de Il Sole 24 ore nell’ormai lontano novembre 2020.
La mediazione auspicata, una revisione rapida delle regole della quarantena e una maggiore elasticità nel poter accordare i percorsi di DAD alle famiglie che ne hanno realmente necessità, sembra ancora piuttosto lontana.
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