Il provvedimento punta su appropriatezza prescrittiva e monitoraggio. I genitori di ragazze e ragazzi transgender: “Rischio schedatura, se necessario andremo all’estero”
Lo scorso 4 agosto, il Consiglio dei Ministri ha approvato la bozza di un disegno di legge (“Disposizioni per l’appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere”) che introduce nuove regole per la prescrizione di farmaci che bloccano la pubertà e di ormoni mascolinizzanti o femminilizzanti a minori con diagnosi di disforia di genere.
La somministrazione di questi medicinali sarà possibile solo dopo un’apposita valutazione da parte di un’equipe medica multidisciplinare, supportata dalla documentazione su percorsi psicologici, psicoterapeutici ed eventualmente psichiatrici già svolti e previo consenso informato, seguendo protocolli definiti dal Ministero della Salute. In attesa di tali protocolli, sarà necessario l’assenso del Comitato etico pediatrico nazionale.
L’AIFA istituirà un registro nazionale per monitorare prescrizione e distribuzione di tali farmaci, con aggiornamenti semestrali al Ministero della Salute. Un Tavolo tecnico, istituito presso il Ministero stesso, e composto da esperti nominati anche dall’autorità politica per la famiglia, analizzerà i dati e presenterà una relazione al Parlamento ogni tre anni. Il provvedimento non comporta nuovi costi per lo Stato, prevedendo l’utilizzo delle risorse già disponibili.
LE REAZIONI: TRA SOSTEGNO ISTITUZIONALE E CRITICHE DELLE FAMIGLIE
La Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, definisce il DDL “un importante e necessario passo avanti” per la tutela della salute fisica e psicologica di bambine, bambini e adolescenti, sottolineando l’importanza dell’obbligo di diagnosi multidisciplinare, del passaggio per il Comitato etico pediatrico e del registro AIFA, e inserendo il provvedimento nell’ottica di una tendenza internazionale volta a privilegiare un approccio più cauto e olistico al tema.
Di segno opposto le opinioni dei genitori di figlie e figli transgender, che parlano di rischio “schedatura”, temono barriere all’accesso alle terapie e paventano la necessità di ricorrere all’estero per seguire i trattamenti. Le critiche delle famiglie si concentrano, in particolare, sull’uso dei dati sensibili e sull’impatto dei nuovi passaggi autorizzativi sui tempi di cura.
CHE COS’È LA DISFORIA DI GENERE
La disforia di genere indica una condizione in cui vi è una marcata incongruenza tra il genere assegnato alla nascita e il genere con cui una persona si identifica. Tale discrepanza può generare sofferenza emotiva e difficoltà nel funzionamento sociale, scolastico e lavorativo o in altre aree importanti della vita. Secondo il manuale diagnostico DSM-5, per formulare una diagnosi di disforia di genere è necessario che il disagio sia clinicamente significativo e persistente per almeno sei mesi. Questa condizione può manifestarsi già nell’infanzia, ad esempio con il rifiuto di comportamenti e interessi tipicamente associati al proprio sesso biologico e la preferenza per quelli attribuiti all’altro genere.
È però importante distinguere la disforia di genere dalla varianza di genere, che descrive quando l’identità o il ruolo di genere di una persona differiscono dalle norme culturali comuni per il sesso assegnato alla nascita. Un bambino che, ad esempio, predilige giochi tradizionalmente associati alle bambine mostra una varianza di genere, ma questo non implica necessariamente disagio o sofferenza clinicamente rilevante. La vera e propria disforia, invece, si configura quando l’incongruenza tra identità percepita e genere assegnato si accompagna a malessere marcato, a stress emotivo e ad un impatto negativo sulle relazioni e sulla vita quotidiana.
Parliamo di una condizione che non è frequente, ma neppure rarissima: secondo alcune stime arriva a coinvolgere fino al 2,3% dei bambini, con incidenza minore negli adolescenti (anche se la scarsità di studi potrebbe sottostimare il fenomeno), e un lieve predominio nei maschi prima della pubertà. Le cause sono oggetto di ricerca e sembrano derivare da una combinazione di fattori biologici (come l’esposizione a determinati ormoni durante la gestazione), psicologici e socio-culturali. La pubertà è un passaggio particolarmente delicato, in cui lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari può accentuare il vissuto di “essere nel corpo sbagliato”. In questa fase, la disforia può consolidarsi o, in alcuni casi, attenuarsi fino a scomparire. Per questo, gli specialisti sottolineano l’importanza di un monitoraggio attento durante l’adolescenza, per valutare se orientare la persona verso un percorso di affermazione di genere o favorire l’accettazione del proprio genere biologico.
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