I risultati di una sperimentazione sono stati presentati dal prof. Alei al congresso di Madrid

Roma - La cura della sessualità nel maschio è spesso più difficoltosa che nella donna perché nella gran parte dei casi un problema andrologico viene associato al concetto di impotenza o di scarso vigore e, pertanto, viene coperto da un immotivato senso di vergogna e rimane nell’anonimato. Ciò avviene principalmente quando il problema è costituito dalla disfunzione erettile, definita come l’incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione soddisfacente per la durata del rapporto sessuale. Nel nostro paese sono circa 3.145.000 gli uomini affetti da questo disturbo e solamente il 13% viene trattato mentre il restante 87% nasconde il problema. La disfunzione erettile può colpire in tutte le fasce d’età ma, normalmente, affligge uomini di età compresa tra i 40 e i 70 anni e il fatto che non si presenti come un episodio isolato può dipendere da fattori come la stanchezza o lo stress ma può anche essere sintomo di patologie più gravi a carico del sistema nervoso (sclerosi multipla, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson), endocrino (ipogonadismo primario, ipo- e ipertiroidismo) o vascolare (ipertensione, diabete mellito, infarto o ictus).

In particolare, l’origine arteriosa della disfunzione erettile può precedere un possibile danno vascolare in altri distretti dell’organismo, trasformando questo disturbo in un sintomo di allarme tale da richiedere un’attenta analisi da parte di uno specialista andrologo ed uno specifico intervento terapeutico. Uno dei trattamenti farmacologici previsti per questa condizione è quello a base di inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE-5) che, tradotto in parole semplici, significa pillola blu. Nel corso del Congresso Nazionale congiunto della Società Italiana di Contraccezione e della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica è stato affrontato con cura il tema della disfunzione erettile e delle terapie con cui contrastarla, con particolare riferimento agli inibitori della PDE-5, a quasi vent’anni dalla loro immissione sul mercato. Le conseguenze fisiologiche e psicologiche dell’utilizzo di questa classe di farmaci sono molte tanto che c’è chi addirittura attribuisce la colpa di molte separazioni nella terza età al risveglio della pulsione sessuale stimolata dal medicinale. A questo proposito, è bene ricordare che non si tratta di una miracolosa caramella ma di un farmaco del tutto sconsigliato a soggetti che abbiano un quadro cardiologico a rischio o che abbiano recentemente subito ictus e infarti del miocardio. Non si tratta della sola soluzione possibile, dal momento che esistono anche le iniezioni di farmaci vasoattivi direttamente all’interno dei corpi cavernosi e le protesi ma entrambe hanno riscosso scarso successo, rispettivamente per l’impatto psicologico ed i costi elevati.

Negli ultimi tempi, tuttavia, si è affacciata al panorama medico una nuova strategia per combattere la disfunzione erettile: le onde d’urto a bassa intensità. I primi risultati dell’applicazione di questa terapia sono stati illustrati nel corso del 18° Congresso della Società Europea di Medicina Sessuale di Madrid e del 13° Congresso della Federazione di Sessuologia Europea di Dubrovnik. Lo studio realizzato dal gruppo di ricerca guidato dal prof. Giovanni Alei (Policlinico Umberto I) ha messo in luce gli effetti positivi e la totale assenza di controindicazioni per i pazienti. Il campione preso in esame era composto da 46 uomini sottoposti al trattamento una volta alla settimana, per sei settimane. Ogni sessione ha comportato l’applicazione di 3.000 onde d’urto a un’intensità di 4 mJ/mm3.  

"A distanza di sei settimane dall’ultimo trattamento – spiega Alei – abbiamo avuto un netto miglioramento della funzione erettile nell’85% dei casi, un buon esito nel 10% e nessun cambiamento nel 5% dei pazienti. Nei mesi successivi, i risultati positivi si sono mantenuti e anche la rigidometria notturna computerizzata delle erezioni lo ha confermato, dimostrando che i risultati erano reali e non si trattava di effetto placebo". Rispetto alle terapie in uso la novità apportata dalle onde d’urto risiede nella creazione di nuovi vasi (neoangiogenesi) nell’organo del paziente. L’impulso meccanico, infatti, aiuta il rilascio di fattori di crescita vascolari. Le onde d’urto risolvono così il problema alla base garantendo una durata persistente nel tempo senza effetti collaterali per i pazienti dal momento che non si tratta di una terapia invasiva. C’è ancora da capire con precisione in quali pazienti la terapia produrrà i risultati migliori e quali, invece, dovranno continuare a ricorrere alla terapia farmacologica ma si tratta di un’innovazione promettente e concreta per un numero molto alto di persone.

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