Intervista alla Prof.ssa Miozzo (Università di Milano) e al Prof. Floris (Università di Sassari), coordinatori gruppo farmacogenetica SIGU
“La farmacogenetica è quella branca della genetica che - in stretta sinergia con la farmacologia - si occupa di capire come il background genetico di una persona possa influire sulla sua risposta ad un farmaco. Serve pertanto a comprendere le risposte individuali ai farmaci in termini di efficacia ed effetti collaterali.” A spiegarlo è la Prof.ssa Monica Rosa Miozzo, Professore Ordinario di Genetica Medica dell’Università degli Studi di Milano, co-coordinatrice, insieme al Prof. Matteo Floris, del gruppo di ricerca della SIGU (Società Italiana di Genetica Umana) dedicato proprio alla farmacogenetica.
“Il nostro obiettivo – spiega Miozzo – è aumentare la sensibilità e la conoscenza degli approcci che ci permettono di eseguire test genetici nell’ambito della farmacogenetica, ma anche diffondere le conoscenze provenienti dalla letteratura internazionale. Inoltre, vogliamo far emergere le differenze che esistono tra i test che è possibile eseguire in Italia e le possibilità che si aprono nel resto del mondo. Infatti, la farmacogenetica nel nostro Paese è parzialmente sottovalutata: stando ai LEA attuali (compresi quelli che entreranno in vigore a fine anno) siamo in grado di offrire gratuitamente solo pochi test, soprattutto relativi alla risposta ai chemioterapici. Certamente i chemioterapici presentano maggiori rischi di tossicità rispetto ad altre terapie farmacologiche, ma la farmacogenetica offre orizzonti molto più ampi.”
CHE COS’ È LA FARMACOGENETICA
“È probabile che ciascuno di noi, riflettendoci, possa annoverare nelle proprie esperienze personali o familiari un evento di tossicità o una reazione avversa (compresa la mancata efficacia) relativa all’uso di farmaci, anche comuni. Quando assumiamo un farmaco, ad esempio per via orale - spiega Matteo Floris, Professore associato in Genetica Medica dell’Università di Sassari - tale molecola dovrà essere ingerita, poi assorbita dall’apparato digerente, entrare in circolo, essere metabolizzata dal fegato e poi eliminata dall’organismo. Il farmaco durante questo tortuoso percorso incontra tantissime proteine, che sono tutte codificate dai nostri geni; quindi, è anche intuibile che le differenze genetiche che riguardano questi geni possano in qualche modo influire sul modo in cui rispondiamo ai farmaci. Parliamo di farmaci spesso di uso comune: antidepressivi, statine, farmaci di ampissimo utilizzo come gli inibitori della pompa protonica. Per tanti farmaci è oggi possibile prevedere una analisi farmacogenetica prima della loro assunzione, ma in pratica in Italia abbia delle applicazioni limitate prevalentemente all’ambito oncologico. Sappiamo che esistono dei farmaci come le fluoropirimidine (chemioterapici) che possono dare una tossicità gravissima in presenza di determinate varianti genetiche. Nel caso di questo farmaco è consuetudine testare il paziente per almeno 4 varianti note. Ci sono però ancora delle limitazioni a livello legislativo, perché non disponiamo ancora di strumenti sofisticati come quelli che ci sono in Inghilterra o Olanda.”
“Quello che stiamo facendo come gruppo di lavoro SIGU - sottolinea Floris - è proprio creare una sorta di framework per permettere l’introduzione di queste pratiche su tutto il territorio italiano.”
Quello che sappiamo, dunque, è che la nostra genetica determina, tra le tante cose, anche il modo in cui noi rispondiamo ai farmaci. La genetica può quindi determinare la necessità di una personalizzazione di dosaggio o addirittura di evitare dei farmaci. Da un lato ci sono le reazioni di ipersensibilità legate non a geni-malattia, ma a varianti polimorfiche (varianti che sono più o meno comuni nella popolazione e non hanno implicazioni nel rischio riproduttivo nello sviluppo di malattie) a carico del complesso maggiore di istocompatibilità (un insieme di geni che trova coinvolgimento nel meccanismo in cui si attua la difesa immunitaria). Dall’altro ci sono le modulazioni in senso positivo o negativo della risposta a un farmaco dovute a varianti alleliche in vari geni responsabili dell’assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione del farmaco o nel bersaglio terapeutico primario del farmaco, come ad esempio recettori ed enzimi.
In campo oncologico, poi, la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che anche le varianti somatiche, tipiche del tumore, possono contribuire a influenzare la risposta alla terapia.
Le moderne tecniche di biologia molecolare consentono oggi di identificare agevolmente questi polimorfismi, a costi non necessariamente altissimi. L’identificazione di un particolare polimorfismo, associato a reazioni avverse, prima della somministrazione di un farmaco, permetterebbe la scelta di strategie terapeutiche alternative.
LA FARMACOGENETICA COME PRE-TERAPIA
“Recentemente è stato pubblicato un trial clinico, curato tra gli altri dalla Dott.ssa Erika Cecchin del CRO di Aviano, attraverso il quale sono stati selezionati geni e varianti genetiche per l’implementazione di un pannello farmacogenomico. Grazie a questo studio - spiega Miozzo - ora è chiaro che la farmacogenetica dovrebbe essere utilizzata come uno strumento di pre-terapia in quanto clinicamente validata: il medico che deve prescrivere la corretta terapia dovrebbe avere già a disposizione un test di farmacogenetica per tutti quei geni che ormai sono stati classificati. Ma il test genetico deve essere necessariamente eseguito prima di iniziare la terapia.”
“Grazie agli strumenti già adottati in altri Paesi europei, in Italia sarebbe possibile realizzare un passaporto farmacologico - prosegue Miozzo - grazie a circa 60 varianti ormai note per essere in grado di influenzare la risposta di un certo numero di farmaci. Lo studio ha dimostrato che tener conto dell’assetto genetico dell’individuo prima di somministrare il farmaco diminuisce del 30% la possibilità di ottenere effetti collaterali.”
I costi per i test genetici si sono molto ammortizzati in anni recenti. Effettuando un test genetico su pannello farmacogenomico si potrebbe ridurre il costo tossico del farmaco, riducendo gli effetti collaterali a carico dei pazienti, che comunque hanno un costo anche per il sistema sanitario.
“Come gruppo di lavoro stiamo lavorando intensamente - conclude Miozzo - e abbiamo pubblicato un primo paper che mira proprio ad illustrare le differenze tra le applicazioni utilizzate comunemente di farmacogenetica in Italia in Europa e nel mondo proprio a sottolineare come purtroppo in Italia siamo ancora indietro. Intendiamo redigere delle linee di indirizzo, condivise con i farmacologi, che diventeranno documento congiunto SIGU E SIF.”
LA FARMACOGENETICA NELLA TERAPIA INTENSIVA NEONATALE
Un esempio significativo di come la farmacogenetica possa fare la differenza è quello citato dal Prof. Floris durante questa intervista.
Immaginiamo un neonato o un bambino che entra in terapia intensiva neonatale con il sospetto di sepsi. Il tempo disponibile per salvarlo è estremamente ridotto. Il trattamento di prima linea in questi casi è la gentamicina (un antibiotico di uso comune). È noto che circa un neonato su 500 presenta una variante di un gene mitocondriale che cambia la conformazione di un RNA codificato dal nostro genoma, e la fa assomigliare a un RNA batterico. Di conseguenza la gentamicina, che ha come bersaglio l’RNA batterico, attacca anche l’RNA umano. Con una gravissima conseguenza di ototossicità: il bambino subisce una lesione irreversibile dei nervi acustici. In Inghilterra sono disponibili dei kit per testare la presenza di tali varianti in soli 25 minuti. L’esame permette di decidere immediatamente se la gentamicina debba essere sostituita con un altro antibiotico.
“Questo è un esempio magnifico di famacogenetica - conclude Floris - che ci insegna quanto possa essere utile la creazione di un passaporto farmacogenetico per ciascun individuo.”
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