Allo studio americano hanno partecipato anche due esperti dell’Università di Milano
USA - Secondo uno studio pubblicato il 3 ottobre 2012 sul Journal of the American Medical Association il principio attivo Mexiletina, usato contro l’aritmia cardiaca, sarebbe in grado di correggere la rigidità muscolare presente in pazienti affetti da una serie di malattie rare, note come Miotonie Non Distrofiche.
Allo studio americano hanno partecipato anche due medici italiani: il prof. Giovanni Meola, professore ordinario di neurologia all’Università di Milano e la dottoressa Valeria Sansone che lavora con Meola al Policlinico San Donato.
Secondo quanto riportato dal dottor. Richard Barohn dell’University of Kansas Medical Center e dai suoi colleghi i pazienti che assumono il farmaco Mexitil presentano infatti una minore rigidità muscolare rispetto a quelli trattati con placebo. Gli unici effetti collaterali riscontrati, per la maggior parte durante la fase di trattamento attivo, sono stati quelli a carico del tratto gastrointestinale.
Il dottor. Barohn ha precisato, inoltre, che durante il periodo di trattamento si è verificato un evento grave in uno dei pazienti coinvolti nello studio ma questo non era collegato al farmaco testato.
Le Miotonie Non Distrofiche sono causate da modificazioni a carico dei canali ionici del muscolo scheletrico. Il rilassamento muscolare, dopo una contrazione, avviene con ritardo e provoca rigidità e dolore che possono risultare funzionalmente limitanti per gli individui colpiti. Questi disordini, per fortuna, hanno una prevalenza di 1 su 100.000, si tratta dunque di malattie rare.
La Mexiletina è un principio attivo appartenente alla classe 1b dei farmaci anti-aritmici, i quali mostrano elevata affinità per il loro bersaglio ovvero per i canali muscolari del sodio. Questo farmaco è già ampiamente usato per il trattamento dei casi di miotonia non distrofica ma il suo valore terapeutico nei confronti di questa patologia non è mai stato, fino ad ora, confermato da studi clinici, a causa di difficoltà tecniche nel condurre studi sulle malattie rare.
Al fine di superare questo ostacolo, il Rare Disease Clinical Research Network della University of Kansas Medical Center ha organizzato uno studio clinico che ha coinvolto gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e anche il nostro Paese.
Sono stati coinvolti 59 pazienti, i quali sono stati assegnati casualmente al gruppo destinato a ricevere 200 mg di mexiletina 3 volte al giorno o al gruppo trattato con Placebo per 4 settimane (studio a doppio cieco). Dopo questa prima fase di studio è seguito un intervallo di una settimana, dopo la quale i pazienti sono stati cambiati di gruppo e lo studio è proseguito per altre 4 settimane. Gli effetti sono stati riportati dai pazienti durante le terza e quarta settimana di ogni periodo di studio, tramite l’utilizzo di un diario telefonico interattivo.
E’ stata fissata una scala con valori di riferimento (da 1 a 9) per valutare la rigidità muscolare nei pazienti.
I ricercatori hanno riportato che, nei 2 periodi, il trattamento con Mexilteina riduceva la rigidità rispettivamente di 1,68 e di 3,68 punti.
In media, durante il primo periodo, i pazienti che assumevano Mexiletina riferivano una rigidità muscolare di 2,53 punti rispetto ai 4,21 di coloro che erano stati trattati con placebo.
Durante il secondo periodo di studio, invece, i pazienti trattati con Mexiletina riportavano 1,60 punti contro i 5,27 dei trattati con Placebo.
Secondo Barohn e il suo team si verifica un’interazione statisticamente significativa tra il periodo di trattamento e il trattamento stesso e un cosiddetto “effetto da trascinamento”, senza tuttavia che si verifichino conseguenze, dovute alla persistenza del farmaco, che possano creare squilibrio nell’assegnazione di gruppo.
Concludendo il reale effetto del farmaco sarebbe quello di ridurre la rigidità muscolare entro valori compresi tra 1,68 e 3,68 punti sulla scala di riferimento.
Tra tutti i pazienti testati, 9 (durante il trattamento con Mexiletina) e 1 (durante il trattamento con Placebo) hanno mostrato effetti collaterali gastrointestinali. Inoltre 2 partecipanti (uno per gruppo) hanno presentato transitori disturbi cardiaci, decidendo comunque di procedere nello studio. L’unico evento serio avverso verificatosi è stato considerato indipendente dall’uso del farmaco.
Secondo Eric Hoffmann del Children’s National Medical Center e Henry Kaminski della Gorge Washington University, questo lavoro rappresenta un trionfo perché dimostra come sia possibile condurre studi di ricerca clinica ben controllati anche in caso di malattie rare.
Il successo di questo studio dovrebbe, quindi, incoraggiare studi sempre più estesi nell’ambito delle miotonie non distrofiche e di tutte le malattie rare. Sicuramente, secondo il parere dei ricercatori, il risultato più importante è che il farmaco abbia avuto effetto positivo e che i medici d’ora in poi potranno trattare con più cognizione i pazienti affetti da miotonia non distrofica.
Questo studio è stato supportato da diverse associazioni, enti ed Università e il dottor. Barohn ha riferito di aver avuto legami finanziari e sovvenzioni da parte di diverse ditte farmaceutiche.
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