In casi complessi, come la malattia di Pompe, gli argomenti potrebbero essere di difficile comprensione

OLANDA - Quando si affronta il complesso tema dello screening neonatale, in modo particolare al suo allargamento ad altre malattie rispetto alle pochissime oggi obbligatorie, in Italia ci si trova spesso di fronte ad ostacoli non solo di natura scientifica ed economica ma anche a dubbi di carattere pratico. In quest’ultima categoria può rientrare la questione, assolutamente non secondaria, del consenso per fare il test sul neonato. Un consenso che dovrà essere dato dai genitori vista l’assoluta incapacità di decidere del neonato. La domanda che spesso sorge è se tutti possano effettivamente comprendere le varie implicazioni del test di screening. Nel caso complesso della malattia di Pompe, ad esempio, andrebbe spiegata la modalità di trasmissione genetica, il rischio di individuare una malattia che si potrebbe manifestare anni più avanti,  le possibilità e i limiti delle attuali terapie. La risposta a questa domanda, o almeno una buona indicazione, arriva da recente Studio Olandese pubblicato su Orphanet Journal of Rare Diseases (Clicca qui per la traduzione integrale in Italiano).
I ricercatori sono andati ad indagare l’atteggiamento della popolazione generale relativamente all’ipotesi di proporre lo screening per la malattia di Pompe a tutti i nuovi nati. Quello che è emerso dallo studio è che, nonostante fossero stati informati in maniera dettagliata, una parte dei partecipanti al questionario non aveva ben capito alcuni punti, come ad esempio le modalità di trasmissione genetica della malattia, e come una buona comprensione degli argomenti fosse evidenziabile solo a partire da una istruzione superiore. Questa informazione influenzava la loro posizione favorevole o contraria allo screening.

Applicare il metodo del consenso informato alla popolazione generale, e dunque anche con istruzione inferiore o magari difficoltà di comprensione della lingua italiana (per gli stranieri), potrebbe essere davvero complicato e richiederebbe un enorme dispendio di energie. Questo vale per l’Olanda come vale per l’Italia dove pure ci sono delle spinte verso all’allargamento dello screening alle malattie lisosomiali, come appunto la malattia di Pompe. Al di là dunque delle questioni scientifiche relative all’utilità e alla precisione dello screening (poiché c’è comunque la possibilità di falsi positivi) e alle questioni etiche (è giusto fare su bambini che non presentano sintomi dei test per individuare una malattia senza che sia poi possibile fare prevenzione?) ci sono anche delle questioni più pratiche, su come effettivamente avere un consenso legalmente valido per effettuare lo screening. 
Ciò non significa naturalmente abbandonare l’ipotesi ma dover tener conto anche di modalità diverse, e forse nuove, per effettuare questo tipo di test qualora si decidesse che farlo è utile, efficace ed etico.

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