A volte, la ricerca sulle malattie rare può inaspettatamente comportare una serie di risvolti utili alla comprensione di altre patologie più comuni. Una simile evenienza si è verificata nel corso di uno studio che i ricercatori del Baylor College of Medicine (Houston, Texas) hanno condotto di recente per investigare a fondo la sindrome progeroide neonatale (NPS), una condizione genetica di estrema rarità che è conosciuta anche come sindrome di Wiedemann-Rautenstrauch. L'indagine, pubblicata sulla rivista Cell, ha portato alla scoperta di un nuovo ormone, denominato 'asprosin', che potrebbe avere implicazioni positive per il trattamento del diabete di tipo 2.
La NPS è una sindrome che, sebbene presenti un quadro clinico piuttosto ampio, è principalmente caratterizzata da segni d'invecchiamento precoce, che appaiono fin dalla nascita, e da una riduzione del grasso sottocutaneo. Ammontano a poche decine i pazienti finora descritti con questa patologia, che sembra essere causata da un difetto nella riparazione del DNA. La NPS può comportare anche altri sintomi, come ipotricosi, macrocefalia, deficit cognitivo di grado lieve o moderato e specifici dismorfismi cranio-facciali. La sindrome è di solito fatale entro l'età di 7 mesi, anche se, in rari casi, i pazienti possono sopravvivere più a lungo.
Nel 2013, il dott. Atul Chopra, genetista del Baylor College of Medicine e uno dei principali autori dello studio, è riuscito ad identificare due persone affette da NPS, decidendo di coinvolgerle nel proprio tentativo di indagare l'origine di questa sindrome. Chopra e colleghi hanno utilizzato le più moderne tecniche di sequenziamento di genoma ed esoma, individuando la mutazione genetica che sembra essere responsabile della NPS. Mediante una serie di esami di laboratorio, i ricercatori sono stati in grado di capire che questa mutazione impedisce ai pazienti di generare 'asprosin', un ormone precedentemente sconosciuto.
Questa particolare molecola è prodotta dal tessuto adiposo e ha la capacità di stimolare il rilascio di glucosio nel sangue da parte del fegato, un meccanismo che fornisce energia all'organismo durante i periodi di digiuno. A causa della mancanza di asprosin, i pazienti affetti da NPS non sono in grado di mettere in atto questo processo, manifestando bassi livelli di glucosio e di insulina, un altro tipo di ormone la cui funzione principale consiste proprio nella regolazione del tasso ematico di zuccheri (glicemia).
Al contrario, le persone che soffrono di diabete, che presentano elevati valori di glicemia e insulina, producono quantità di asprosin superiori alla norma. A partire da queste constatazioni, i ricercatori hanno deciso di sviluppare un anticorpo specificamente diretto contro questo ormone e di verificare se il suo utilizzo potesse rivelarsi efficace per diminuire il livello di glucosio rilasciato dal fegato, inducendo, di conseguenza, una minor produzione di insulina da parte delle cellule pancreatiche.
Per saggiare tale ipotesi, gli scienziati hanno testato l'anticorpo da loro elaborato in un modello di topo con diabete. Una singola dose di trattamento è stata in grado di ridurre il tasso di insulina degli animali, riportandolo quasi alla normalità. Inoltre, sottoponendo i topi ad una terapia più prolungata, i ricercatori sono riusciti a controllare completamente la loro resistenza all'insulina.
Secondo gli autori dello studio, nel caso in cui gli esseri umani affetti da diabete fossero in grado di manifestare una risposta alla terapia anti-asprosin simile a quella riscontrata nei topi, la scoperta potrebbe condurre ad un nuovo potenziale trattamento per il diabete mellito di tipo 2. “Qui sta il valore della ricerca sulle malattie genetiche rare: a volte, tale sforzo può avere un impatto positivo su molte più persone di quelle direttamente colpite dalle patologie che sono oggetto d'indagine”, ha affermato il dottor Chopra.
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