Esperimenti su modelli murini evidenziano il ruolo del microrganismo Enterococcus gallinarum nell'insorgenza di questa malattia cronica autoimmune
Le relazioni simbiotiche possono essere definite, insieme alla mutazione, come il motore dell’evoluzione. Da sempre, infatti, i rapporti di coesistenza con alcune specie batteriche permettono agli organismi pluricellulari di evolversi e acquisire potenzialità: organelli cellulari come i mitocondri e i cloroplasti sono il frutto di un processo simbiotico con il quale organismi eucarioti hanno inglobato batteri ancestrali che hanno permesso loro di migliorare alcune funzioni: i mitocondri, solo per fare un esempio, sono fondamentali per la produzione di energia. La più importante relazione simbiotica che riguarda l’uomo parte dal nostro stesso intestino, che offre ospitalità a quasi 100 trilioni di cellule microbiche: archeobatteri, funghi o protozoi vivono infatti nelle pareti interne del nostro corpo formando il microbiota.
Per lo più sono batteri commensali ma alcuni interagiscono con la funzionalità cellulare dell’intestino, partecipando alla sintesi di vitamine o collaborando a prevenire l’attacco di agenti patogeni. Molti esercitano la loro influenza sui processi metabolici, contrastando le infiammazioni o sostenendo l’immunità adattativa. Per tale ragione, le disbiosi (disfunzioni nell’interazione tra microrganismi e ospite) appaiono coinvolte nell’insorgenza di svariati disturbi, quali malattie infiammatorie intestinali, diabete o cirrosi epatica. Di recente, addirittura, è stato ipotizzato che la composizione dei microbiota intestinale eserciti un ruolo nel determinare la risposta al trattamento con farmaci inibitori di PD1, come nivolumab e pembrolizumab, nei pazienti con melanoma.
Solo qualche settimana fa, sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine, è comparso un articolo che, citando un precedente studio pubblicato dalla rivista Science, sottolinea come, in modelli murini, il batterio Enterococcus gallinarum possa svolgere una parte non trascurabile nell’insorgenza del lupus eritrematoso sistemico (LES). Il LES è una malattia autoimmune sistemica che colpisce il tessuto connettivo e che richiede il trattamento con corticosteroidi. La diagnosi della malattia passa attraverso esami di autoimmunità quali il dosaggio degli ANA, degli ENA specifici e degli anticorpi anti-DNA a doppia elica (anti-dsDNA).
Manfredo Vieira e i suoi collaboratori, nell’articolo pubblicato su Science, riportano come E. gallinarum, un batterio Gram positivo presente nella flora intestinale, abbia la capacità di traslocare dall’intestino al fegato, stimolando le cellule epatiche a sintetizzare interferone-alfa, beta-2 glicoproteina 1 (riscontrabile anche nei soggetti con sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi) e anticorpi anti-dsDNA, tipici del LES. Il fenomeno della traslocazione implica anche un aumentato grado di permeabilità intestinale, che può potenzialmente contribuire allo sviluppo di infezioni.
Il trattamento antibiotico con vancomicina o ampicillina aumenta la sopravvivenza dei topi inclini allo sviluppo del LES, che, parallelamente, riportano anche bassi livelli di anti-dsDNA. Inoltre, negli esemplari sani non compare segno di traslocazione, e l’infezione da parte di altri batteri, quali la salmonella, non è in grado di indurre questo fenomeno. Pertanto, lo sviluppo del lupus eritematoso sistemico sembra essere decisamente legato all’infezione da E. gallinarum, che appare capace di innescare la reazione immunitaria associata alla malattia. Dato che il trattamento antibiotico può sortire effetto nell’aumentare la sopravvivenza dei topi malati, a questo punto diventa fondamentale procedere con la ricerca per appurare se un’analoga modalità terapeutica possa prevenire l’insorgenza del LES anche nell’uomo.
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