Malattia renale nel diabete: studio su terapia combinata

Lo studio CONFIDENCE rivela come l’uso simultaneo dei due farmaci sia più efficace nel contrastare il danno renale rispetto al loro impiego singolo

Milano – Milioni di persone nel mondo sono affette da diabete di tipo 2, una condizione molto diffusa che può portare a gravi complicazioni, e fino al 40% di questi pazienti sviluppa una malattia renale cronica (CKD): i nuovi dati provenienti dallo studio clinico di Fase II CONFIDENCE rappresentano un importante passo avanti per migliorare la gestione di questa patologia. La sperimentazione ha infatti mostrato che la combinazione precoce dei farmaci finerenone ed empagliflozin riduce in modo significativo il rapporto albumina/creatinina nelle urine (UACR) rispetto alla somministrazione di uno solo di questi medicinali. Ridurre l’UACR significa intervenire tempestivamente su un marcatore chiave che segnala sia il rischio peggioramento della funzione renale che quello di eventi cardiovascolari.

I risultati dello studio CONFIDENCE, presentati al Congresso ERA e pubblicati sul New England Journal of Medicine, aprono quindi nuove prospettive terapeutiche concrete, offendo un approccio più efficace per rallentare la progressione della malattia renale cronica associata a diabete e migliorare gli esiti clinici.

Finerenone agisce contrastando gli effetti dannosi dell’iperattivazione del recettore MR, un meccanismo che favorisce l’aggravarsi della malattia renale cronica e lo sviluppo di un danno cardiovascolare attraverso processi emodinamici infiammatori e fibrotici. Empagliflozin è invece una molecola appartenente alla classe degli inibitori del trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (inibitori di SGLT2).

I diversi meccanismi d’azione di empagliflozin e finerenone suggeriscono la possibilità di un’azione sinergica dei due principi attivi”, aggiunge Paola Fioretto, Direttore UOC di Clinica Medica 3, Azienda Ospedale Università di Padova. “Lo studio CONFIDENCE ha dimostrato che questa ipotesi corrisponde a realtà e che nei pazienti c’è un effetto additivo sull’albuminuria con la combinazione dei due farmaci, rispetto alle monoterapie. Questo si associa ad un buon profilo di sicurezza, rendendo questo approccio terapeutico facilmente gestibile da parte del clinico. Oggi abbiamo avuto una prova ulteriore di come il trattamento dei pazienti diabetici con CKD si fondi su solidi pilastri terapeutici e nuove evidenze di come queste terapie possano essere iniziate simultaneamente, al fine di ottenere i maggiori benefici per i pazienti”.

“I dati presentati dimostrano ciò che ad oggi era solo un’ipotesi, ovvero che l'effetto sinergico tra due prodotti importanti nella gestione della CKD (inibitori di SGLT2 e finerenone) riduce significativamente, e soprattutto rapidamente, i livelli di albuminuria rispetto alle monoterapie, preservandone il profilo di sicurezza”, dichiara Luca De Nicola, Presidente Società Italiana di Nefrologia (SIN). “Anticipare quanto più possibile la terapia, iniziando simultaneamente il trattamento con i due farmaci, rappresenterà un'importante arma nelle mani dei nefrologi per migliorare la prevenzione e la gestione della malattia renale cronica nei pazienti con diabete di tipo 2. In questo modo si riduce il rischio di eventi cardiovascolari e renali, ritardando la progressione di una patologia che ricordiamo, sta assumendo sempre più le dimensioni di una vera e propria pandemia.”

Finerenone è già approvato per il trattamento della CKD associata a diabete di tipo 2 negli adulti in più di 90 Paesi, tra cui Cina, Europa, Giappone e Stati Uniti, e fa parte del portfolio di Bayer dedicato alla ricerca di soluzioni innovative nel campo delle malattie cardiovascolari e renali. “Malattie del cuore e dei reni sono spesso collegate e presenti contemporaneamente nei pazienti con diabete 2”, spiega Simona Gatti, Area Medical di Bayer Italia. “Per questo motivo, lavoriamo con l’obiettivo di sviluppare soluzioni che possano rispondere in modo mirato ai bisogni clinici ancora insoddisfatti, migliorando concretamente la qualità di vita di chi convive con queste condizioni”.

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