Uno studio austriaco, pubblicato su Annals of the Rheumatic Disease, sostiene che l’aggiunta di rituximab alla terapia con metotressato sia in grado di rallentare la progressione del danno articolare nei pazienti affetti da artrite reumatoide (AR), indipendentemente dal livello dell’attività di malattia.
La progressione del danno articolare, nelle fasi iniziali dell’AR, è legata all’attività di malattia, che nei pazienti che ricevono una terapia subottimale, si evidenzia con tumefazione articolare e livelli elevati di proteina reattiva C.
Come riportato da Pharmastar , studi precedenti hanno documentato come la terapia biologica avente come bersaglio alcune citochine (TNF-alfa e IL-6) sia in grado di dissociare il legame sopra menzionato, con vantaggi in termini di rallentamento della progressione di malattia.
“Sia gli inibitori del TNF-alfa che quelli dell’IL-6 sono in grado di bloccare le citochine pro infiammatorie sopra menzionate, che si ritiene esplichino un ruolo primario nei meccanismi responsabili dell’attivazione degli osteoclasti e dei condrociti, le popolazioni cellulari chiave coinvolte nel danno osseo e cartilagineo – spiegano gli autori dello studio nell’introduzione al loro lavoro.
In assenza, tuttavia, di documentazioni in letteratura sulla similarità di effetti delle terapie di deplezione cellulare, gli autori del nuovo studio hanno voluto verificare l’efficacia della combinazione rituximab + MTX rispetto al solo MTX analizzando in maniera retrospettiva i dati dello studio IMAGE, un trial di fase III disegnato a tal scopo. A tal scopo hanno considerato i dati provenienti da 188 pazienti in monoterapia con MTX e 204 pazienti in terapia di combinazione.
La variazione del danno articolare è stata misurata con il metodo di van der Hejide Sharp (vdH-S), un indice radiografico della distruzione articolare che tiene conto sia dell'erosione sia del restringimento dello spazio articolare. Ad un anno dall’inizio del trattamento, considerando il punteggio >0,25 come soglia di progressione inequivocabile di danno articolare, nei pazienti trattati con MTX, le variazioni del punteggio di danno articolare erano pari a 0.40±0.88, 1.04 ±1.73, e 1.31±3.02 a seconda che si fosse in presenza di bassa, intermedia od elevata attività di malattia. Per contro, nei pazienti in terapia di combinazione con rituximab, la variazione del punteggio di danno articolare era pari, invece, a 0.38±1.07, 0.39±1.28, e ?0.05±0.44, con una progressione minore del danno articolare in presenza di media o alta attività di malattia rispetto al trattamento di confronto.
Dal momento che la tumefazione articolare e i livelli di CRP correlano bene con il danno articolare, i ricercatori hanno preso anche in considerazione gli outcomes radiografici in relazione agli endpoint succitati. In questo modo hanno dimostrato che i pazienti in terapia di combinazione con rituximab che appartenevano al terzile più alto per tumefazioni articolari presentavano una minima progressione del danno articolare rispetto a quelli appartenenti al terzile più basso (0,31 vs 0,28; p= 0,97).
Al contrario, invece, quelli in monoterapia con MTX afferenti al terzile più alto per tumefazioni articolari mostravano maggiori variazioni radiografiche rispetto a quelle osservate nel terzile inferiore (1,33 vs 0,32; p= 0,009).
Risultati simili sono stati ottenuti quando i pazienti erano stratificati a seconda dei livelli di CRP anziché per tumefazioni articolari: l’ ingravescenza del danno articolare era osservata per i livelli più elevati di CRP soprattutto nel gruppo trattato solo con MTX.
Tali risultati suggeriscono come la deplezione delle cellule B ottenuta con rituximab possa avere effetti nel disaccoppiare l’attività di malattia dal danno articolare in modo simile ai benefici ottenuti con gli inibitori del TNF-alfa.
“L’equipe del prof. Aletaha ha dimostrato l’esistenza di una dissociazione tra outcomes clinici e strutturali nei pazienti trattati con rituximab simile a quella osservata nei pazienti trattati solo con MTX, a suggerire la non esclusività di questo meccanismo per i farmaci anti-TNF alfa – ha asserito il prof. Villeneuve in un editoriale di accompagnamento al lavoro, pubblicato nello stesso numero della rivista.”
I ricercatori ipotizzano che tra i possibili meccanismi alla base degli effetti della deplezione delle cellule B nel prevenire il danno articolare vi sarebbero la riduzione del titolo di autoanticorpi e di complessi immuni che a loro volta potrebbero limitare la produzione di citochine infiammatorie.
Artrite reumatoide, risultati positivi per la terapia con rituximab e metotressato
Uno studio austriaco, pubblicato su Annals of the Rheumatic Disease, sostiene che l’aggiunta di rituximab alla terapia con metotressato sia in grado di rallentare la progressione del danno articolare nei pazienti affetti da artrite reumatoide (AR), indipendentemente dal livello dell’attività di malattia.
La progressione del danno articolare, nelle fasi iniziali dell’AR, è legata all’attività di malattia, che nei pazienti che ricevono una terapia subottimale, si evidenzia con tumefazione articolare e livelli elevati di proteina reattiva C.
Come riportato da Pharmasar http://www.pharmastar.it/index.html?cat=24&id=10071 , tudi precedenti hanno documentato come la terapia biologica avente come bersaglio alcune citochine (TNF-alfa e IL-6) sia in grado di dissociare il legame sopra menzionato, con vantaggi in termini di rallentamento della progressione di malattia.
“Sia gli inibitori del TNF-alfa che quelli dell’IL-6 sono in grado di bloccare le citochine pro infiammatorie sopra menzionate, che si ritiene esplichino un ruolo primario nei meccanismi responsabili dell’attivazione degli osteoclasti e dei condrociti, le popolazioni cellulari chiave coinvolte nel danno osseo e cartilagineo – spiegano gli autori dello studio nell’introduzione al loro lavoro.
In assenza, tuttavia, di documentazioni in letteratura sulla similarità di effetti delle terapie di deplezione cellulare, gli autori del nuovo studio hanno voluto verificare l’efficacia della combinazione rituximab + MTX rispetto al solo MTX analizzando in maniera retrospettiva i dati dello studio IMAGE, un trial di fase III disegnato a tal scopo. A tal scopo hanno considerato i dati provenienti da 188 pazienti in monoterapia con MTX e 204 pazienti in terapia di combinazione.
La variazione del danno articolare è stata misurata con il metodo di van der Hejide Sharp (vdH-S), un indice radiografico della distruzione articolare che tiene conto sia dell'erosione sia del restringimento dello spazio articolare. Ad un anno dall’inizio del trattamento, considerando il punteggio >0,25 come soglia di progressione inequivocabile di danno articolare, nei pazienti trattati con MTX, le variazioni del punteggio di danno articolare erano pari a 0.40±0.88, 1.04 ±1.73, e 1.31±3.02 a seconda che si fosse in presenza di bassa, intermedia od elevata attività di malattia. Per contro, nei pazienti in terapia di combinazione con rituximab, la variazione del punteggio di danno articolare era pari, invece, a 0.38±1.07, 0.39±1.28, e ?0.05±0.44, con una progressione minore del danno articolare in presenza di media o alta attività di malattia rispetto al trattamento di confronto.
Dal momento che la tumefazione articolare e i livelli di CRP correlano bene con il danno articolare, i ricercatori hanno preso anche in considerazione gli outcomes radiografici in relazione agli endpoint succitati. In questo modo hanno dimostrato che i pazienti in terapia di combinazione con rituximab che appartenevano al terzile più alto per tumefazioni articolari presentavano una minima progressione del danno articolare rispetto a quelli appartenenti al terzile più basso (0,31 vs 0,28; p= 0,97).
Al contrario, invece, quelli in monoterapia con MTX afferenti al terzile più alto per tumefazioni articolari mostravano maggiori variazioni radiografiche rispetto a quelle osservate nel terzile inferiore (1,33 vs 0,32; p= 0,009).
Risultati simili sono stati ottenuti quando i pazienti erano stratificati a seconda dei livelli di CRP anziché per tumefazioni articolari: l’ ingravescenza del danno articolare era osservata per i livelli più elevati di CRP soprattutto nel gruppo trattato solo con MTX.
Tali risultati suggeriscono come la deplezione delle cellule B ottenuta con rituximab possa avere effetti nel disaccoppiare l’attività di malattia dal danno articolare in modo simile ai benefici ottenuti con gli inibitori del TNF-alfa.
“L’equipe del prof. Aletaha ha dimostrato l’esistenza di una dissociazione tra outcomes clinici e strutturali nei pazienti trattati con rituximab simile a quella osservata nei pazienti trattati solo con MTX, a suggerire la non esclusività di questo meccanismo per i farmaci anti-TNF alfa – ha asserito il prof. Villeneuve in un editoriale di accompagnamento al lavoro, pubblicato nello stesso numero della rivista.”
I ricercatori ipotizzano che tra i possibili meccanismi alla base degli effetti della deplezione delle cellule B nel prevenire il danno articolare vi sarebbero la riduzione del titolo di autoanticorpi e di complessi immuni che a loro volta potrebbero limitare la produzione di citochine infiammatorie.
Seguici sui Social