Nonostante l’enorme lavoro di sequenziamento sembra ancora impossibile prevedere il rischio genetico
LONDRA- Malattie della tiroide, celiachia, morbo di Crohn, psoriasi, sclerosi multipla e diabete di tipo 1: sono malattie diverse con una cosa in comune, la loro origine autoimmune. Sulle basi genetiche che portano alla loro insorgenza c’è ancora tanto da capire: la causa esatta è ancora sconosciuta e si crede possa essere il risultato di una complessa combinazione tra fattori genetici e ambientali. Per far luce su questo i ricercatori della Queen Mary, Università di Londra, hanno portato a termine il più grande studio di sequenziamento eseguito fino ad oggi in ambito medico immunologico (clicca qui per lo studio).
Le tecniche utilizzate fino ad oggi hanno ottenuto il risultato di identificare alcune varianti genetiche, comuni nella popolazione, che sarebbero associate all’insorgere di tali patologie ma con, di fatto, un debole legame (chiamate “varianti a debole effetto”). In questo ultimo studio, utilizzando tecniche di “high-throughput sequencing” (un team internazionale di scienziati ha sequenziato e cercato di identificare “nuove varianti rare a rischio potenzialmente elevato” tra 25 “geni rischio” precedentemente individuati in un campione di quasi 42.000 persone (24.892 con malattia autoimmune e 17.019 controlli). I risultati ottenuti hanno suggerito che un piccolo numero di varianti rare di questi geni potrebbero essere una delle principali cause dell’ereditabilità delle 6 condizioni autoimmuni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, suggerisce che il rischio genetico di queste malattie coinvolge, molto più probabilmente, una complessa combinazione di centinaia di varianti genetiche a debole-effetto che sono comuni nella popolazione. Gli autori stimano, infatti, che le varianti rare di questi geni rischio (individuate dai ricercatori londinesi) rappresentano solo il 3% dell’ereditabilità di queste patologie che possono, invece, essere associate a varianti più deboli ma molto frequenti che vengono ereditate da entrambi i genitori. Per ogni malattia ci sarebbero, dunque, centinaia di tali varianti e il rischio genetico sarebbe collegato all’ereditarietà di queste varianti da entrambi i genitori con la conseguenza che è impossibile prevedere, con precisione, il rischio genetico di tali malattie autoimmuni in un individuo.
David van Heel, il professore che ha condotto lo studio, ha detto: "Questi risultati suggeriscono che il rischio per queste malattie autoimmuni non è dovuto ad alcune varianti genetiche ad alto rischio ma sembra piuttosto ascrivibile ad una selezione casuale di varianti genetiche comuni che dispongono di un debole effetto."
I risultati ottenuti dallo studio non forniscono, comunque, importanti indicazioni riguardanti le basi biologiche di queste condizioni autoimmuni e nemmeno circa le vie coinvolte, di conseguenza non è possibile identificare nuovi bersagli farmacologici.
Il professor Richard Trembath, co-autore dello studio, ha dichiarato: "I risultati ottenuti inducono ad una nuova valutazione circa l’architettura genetica che determina il rischio di sviluppare questi disordini autoimmuni comuni e alimenterà in futuro un’attenta valutazione di alcune regioni del genoma umano, oltre quelle attualmente note, al fine di conferire suscettibilità a queste importanti condizioni mediche".
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