Lo studio italiano della Prof.ssa Lazzerini pubblicato su Inflammatory Bowel Disease
La pubblicazione sulla rivista Inflammatory Bowel Disease delle conclusioni di uno studio firmato dalla dott.ssa Lazzerini dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofalo di Trieste sulla colite ulcerosa (UC) e sulla malattia di Crohn (MC) in pazienti pediatrici ha suscitato notevole interesse da parte della comunità scientifica perché riporta in primo piano un farmaco associato ad uno dei più noti scandali della medicina moderna, la talidomide.
La commercializzazione del farmaco fu autorizzata in Europa negli anni ’50 e questo sedativo fu regolarmente prescritto alle donne in gravidanza, ma il suo impiego ha prodotto una lunga sequenza di anomalie nei feti e di morti premature. La teratogenicità del farmaco fu provata solo in seguito e la talidomide fu ritirata dal mercato: tra gli effetti collaterali del farmaco si segnalarono malformazioni agli organi interni e numerosi casi di focomelia. Successivamente, la talidomide fu sottoposta ad ulteriori prove di laboratorio che ne hanno accertato le proprietà anti-angiogenetiche e immunomodulatorie e, in forza di ciò, la Food and Drug Administration ne ha concesso l’approvazione al commercio per il trattamento del mieloma multiplo e dell’eritema nodoso leporoso.
Oggi, l’equipe condotta dalla dott.ssa Lazzerini ha realizzato uno studio clinico randomizzato nel quale è stata testata l’efficacia della talidomide nel trattamento di giovani pazienti con malattia di Crohn e colite ulcerosa, osservando che il 46% dei pazienti con MC ha fatto registrare un tasso di remissione della malattia del 75%, contro il 12% dei pazienti trattati con placebo. Dopo il crossing over dei pazienti è stato ancora possibile osservare un tasso di risposta positiva del 50%. Anche nei pazienti con UC si è visto un consistente miglioramento, traducibile in un indice di remissione dell’83%, contro il 19% del braccio di pazienti trattato con placebo. I ricercatori hanno rilevato che gli effetti sono stati registrati dopo 8 settimane di trattamento in entrambi i casi e che comunque sarà necessario confermare tali esiti su una casistica di maggior consistenza.
La colite ulcerosa è una patologia infiammatoria del colon cronica e recidivante con una prevalenza che, in Europa, spazia da 21 a 243 casi per 100.000 persone e che, in maniera simile a quanto accade nella malattia di Crohn, prende le mosse da una di regolazione del sistema immunitario con produzione di un eccesso di citochine, interleuchine e chemochine in grado di innalzare i livelli dell’infiammazione conducendo ad un consistente danno cellulare. La natura recidivante della UC prevede un’alternanza di periodi di remissione e ricomparsa della patologia, con sintomi che includono diarrea, sanguinamenti rettali e dolori addominali. Dato l’alto rischio di progressione a cancro e l’aggressività delle recidive, molti pazienti sono costretti a sottoporsi a colectomia. A questo punto, la domanda che ha trovato spazio sulla stessa rivista è se sia più corretto investire energie nello studio di una molecola di vecchia data e gravata da una così pesante eredità piuttosto che impiegare il capitale umano ed economico a disposizione nella ricerca di nuovi farmaci biologici contro la UC e il MC.
Gli autori dello studio concordano sulla necessità di individuare nuove terapie che possano risultare di maggior beneficio per i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali refrattarie al trattamento, sottolineando che circa 1 paziente su 3 risulta refrattario alle terapie oggi utilizzate. Tuttavia, il fatto che siano stati segnalati eventi avversi anche in pazienti trattati con infliximab e che la sicurezza di adalimumab nei pazienti pediatrici non sia stata documentata, invita alla riflessione: entrambi questi farmaci vengono utilizzati per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, mentre le critiche rivolte alla talidomide rimangono legate alle sue proprietà teratogene, le quali risultano oggi maggiormente controllabili se si considera che, in un programma di valutazione del rischio durato 6 anni, dei 124.000 pazienti arruolati, nessuno ha riportato eventi avversi. Inoltre, è necessario ponderare con attenzione il rapporto costo/beneficio di un trattamento. Diverse fonti hanno sottolineato che sia infliximab che adalimumab non siano idonee in termini di rapporto costo/beneficio quali terapie di mantenimento in pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali, a causa dei bassi tassi di remissione libera da steroidi ed anche il costo dei biologici risulta decisamente alto se paragonato ai benefici ad essi collegati.
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