Pubblicato uno studio importante, che potrebbe aprire la strada alla sperimentazione sui pazienti
Un team di ricercatori dell’Università della California di San Diego ha sviluppato una possibile terapia genica per la malattia di Alzheimer che tenta un approccio radicalmente innovativo nella lotta contro la malattia: invece di focalizzarsi sul contrastare i sintomi o a rimuovere gli accumuli proteici, il trattamento agisce direttamente sul comportamento delle cellule cerebrali malate. Pubblicato sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, lo studio al momento è stato condotto su topi affetti da Alzheimer, ma i risultati sono incoraggianti: la terapia ha permesso di preservare la memoria dipendente dall’ippocampo, una delle funzioni cognitive più compromesse nei pazienti umani. I topi trattati hanno inoltre mostrato profili di espressione genica simili a quelli di animali sani della stessa età, un segnale che le cellule cerebrali hanno potenzialmente riacquisito uno stato più vicino alla normalità.
Negli ultimi anni, il gruppo ha condotto una serie di studi per esplorare il ruolo di Cav-1 nel sistema neuronale. La caveolina-1 (Cav-1) è una proteina legante e di impalcatura del colesterolo coinvolta nella formazione di membrana, essenziali per mantenere l'integrità della membrana cellulare e coordinare la trasduzione del segnale.
Nel modello murino utilizzato, la somministrazione ippocampale di AAV9-Synapsin-Cav-1 nel periodo presintomatico ha attenuato significativamente i deficit cognitivi, prevenuto la perdita sinaptica correlata a neurodegenerazione e mantenuto la dinamica e la funzione mitocondriale nelle fasi sintomatiche.
A questa terapia genica, sviluppata da UC San Diego e concessa in licenza alla società biotecnologica Eikonoklastes Therapeutics nel 2021, era già stata riconosciuta dalla Food and Drug Administration (FDA) la designazione di farmaco orfano per il trattamento della sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
Se i futuri studi confermeranno l’efficacia del trattamento negli esseri umani, la nuova terapia potrebbe rappresentare un punto di svolta nella cura dell’Alzheimer, malattia neurodegenerativa che colpisce milioni di persone nel mondo e per la quale le opzioni terapeutiche restano ancora limitate.
QUALI FARMACI E APPROCCI TERAPEUTICI SONO OGGI DISPONIBILI PER L'ALZHEIMER?
Le placche di beta-amiloide extracellulare e gli ammassi neurofibrillari intraneuronali sono due segni patologici distintivi presenti nei cervelli affetti da malattia di Alzheimer, entrambi causa di un danno neuronale significativo e contribuiscono al deterioramento cognitivo. Attualmente, esistono solo pochi anticorpi monoclonali anti-amiloide approvati dalla FDA (lecanemab e donanemab) per il trattamento precoce della malattia. Il lecanemab agisce selettivamente sugli aggregati solubili di Aβ altamente tossici (oligomeri e protofibrille di Aβ) per prevenire la formazione di placche, mentre il donanemab si lega alle placche mature esistenti e le rimuove.
Sebbene entrambe le terapie abbiano dimostrato efficacia nel ridurre il carico di amiloide e nell'alleviare i sintomi precoci, essi producono solo effetti moderati sulla progressione della malattia, suggerendo che attaccare la beta amiloide non sia sufficiente per affrontare la natura progressiva della malattia.
Considerata la natura multiforme dell'Alzheimer, un approccio "cocktail", che preveda una combinazione di strategie terapeutiche, potrebbe dunque rivelarsi essenziale.
Per questo, parallelamente al rapido sviluppo di interventi farmacologici, sono stati effettuati investimenti significativi nello sviluppo di approcci alternativi come la terapia genica/cellulare neuroprotettiva e la terapia antinfiammatoria, che aumentando i trascritti neuroprotettivi e le vie di segnalazione pro-sopravvivenza potrebbero offrire una strategia promettente per il trattamento di questa patologia.
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