malattia di Alzheimer

Due recenti studi puntano sull’analisi delle proteine implicate nel deterioramento cerebrale e sulla creazione di nuovi modelli neuronali

Due diversi studi da poco pubblicati su Science, condotti da due centri di ricerca di primo piano a livello mondiale, segnano importanti passi avanti nella comprensione dell’Alzheimer. Da un lato, i ricercatori della prestigiosa Johns Hopkins University statunitense hanno identificato oltre 200 nuove proteine mal ripiegate associate al declino cognitivo, suggerendo che i noti fattori considerati cause della malattia di Alzheimer, ossia gli aggregati di beta-amiloide e tau, potrebbero in realtà essere solo la punta dell’iceberg. Dall’altro, un team dell’ETH di Zurigo ha prodotto in laboratorio più di 400 tipi diversi di cellule nervose a partire da cellule staminali, un salto tecnologico che apre la strada a modelli cellulari molto più precisi per lo studio di patologie cerebrali complesse.

NON SOLO AMILOIDI: SCOPERTI OLTRE 200 NUOVI ‘SABOTATORI’ DEL CERVELLO

Per decenni la ricerca sull’Alzheimer si è concentrata sulle placche di beta-amiloide e sui grovigli di proteina tau, accumuli tossici che distruggono i neuroni e compromettono la memoria. Lo studio della Johns Hopkins University, condotto da un team guidato dal chimico Stephen Fried, mostra che queste formazioni visibili al microscopio potrebbero essere solo una parte del problema. Analizzando il cervello di 17 topi anziani, di cui alcuni con deterioramento cognitivo, i ricercatori hanno trovato oltre 200 proteine che, pur non aggregandosi in placche, risultano mal ripiegate e potenzialmente dannose per le funzioni cerebrali.

Queste proteine sfuggono ai normali meccanismi di sorveglianza cellulare che dovrebbero identificarle e degradarle, contribuendo così, in modo silenzioso ma significativo, alla perdita di memoria. Il fatto che queste alterazioni siano presenti solo nei ratti cognitivamente compromessi suggerisce un legame diretto con il deterioramento mentale. “Le placche amiloidi sono solo la punta dell’iceberg”, ha spiegato Fried in un comunicato stampa. “Stiamo cominciando a vedere tutta una nuova dimensione del danno cerebrale legato all’età.”

COLTIVATI IN LABORATORIO OLTRE 400 TIPI DI NEURONI UMANI 

Intanto, dall’ETH di Zurigo arriva una seconda innovazione potenzialmente rivoluzionaria. Utilizzando cellule staminali umane, i ricercatori guidati da Barbara Treutlein sono riusciti a generare più di 400 tipi diversi di neuroni, superando di gran lunga i precedenti limiti della coltivazione cellulare in vitro. Fino a oggi, infatti, la maggior parte dei modelli di laboratorio si basava su una manciata di sottotipi neuronali, senza considerare la vastissima varietà di cellule nervose esistenti nel cervello umano. Lo studio ha ampliato significativamente la gamma di neuroni umani che è possibile generare in laboratorio e ha chiarito come segnali molecolari cooperativi guidino la differenziazione cellulare. Il set di dati prodotto rappresenta una risorsa preziosa per modelli predittivi di destino cellulare e può essere esteso anche ad altri tipi di cellule.

Questo nuovo metodo, ottenuto combinando in modo sistematico morfogeni (molecole di segnale che hanno un ruolo chiave nello sviluppo embrionale) e regolatori genetici, consente di riprodurre fedelmente la diversità neuronale che caratterizza le diverse aree cerebrali. Ciò significa avere a disposizione modelli molto più accurati per studiare malattie come l’Alzheimer, il Parkinson o la SLA, migliorando notevolmente le prospettive per lo sviluppo di farmaci mirati.

VERSO MODELLI PIÙ PRECISI E TERAPIE PERSONALIZZATE

Entrambe le scoperte puntano in una direzione comune: lavorare a una visione più complessa del cervello, a livello molecolare e cellulare. Comprendere quali proteine si alterano precocemente e in quali tipi di neuroni queste alterazioni avvengono è cruciale per sviluppare terapie più efficaci e, un domani, strategie preventive per l’Alzheimer e per altre patologie neurodegenerative.

La sfida sarà ora sfruttare queste nuove conoscenze per costruire modelli sperimentali più realistici, testare nuovi principi attivi in vitro senza ricorrere agli animali e forse, un giorno, sostituire le cellule danneggiate con neuroni ‘coltivati su misura’. La lotta contro le malattie neurodegenerative, insomma, potrebbe entrare in una nuova fase.

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