Il meccanismo scoperto dovrebbe essere applicabile anche ad altre malattie neurodegenerative

Quattro ricercatori della Fondazione ISI, dell’Università degli Studi di Milano e del CNR, combinando la fisica con la biomedicina, hanno compreso come funziona l’aggregazione delle proteine in disordini di tipo neurodegenerativo quali FENIB (encefalopatia con corpi d'inclusione di neuroserpina), Alzheimer, Parkinson e Huntington. Per svelarlo hanno studiato una trasformazione che in fisica ricorda quella di una ‘transizione di fase’ in cui un liquido passa allo stato gassoso, in una condizione di ‘non-equilibrio’, cioè una sorta di ‘processo di non ritorno’.
Secondo quanto emerso dal lavoro “Protein accumulation in the endoplasmic reticulum as a non-equilibrium phase transition” pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature Communication, le proteine 'complici' di queste malattie, come in un ‘passaggio irreversibile da liquido a gas’, si accumulano e non riescono più ad uscire. Nella regolazione del processo, secondo un’ipotesi, potrebbe essere coinvolto il metabolismo dei lipidi.

 

Lo studio potrebbe aprire prospettive per migliorare l’approccio diagnostico.

“Il nostro lavoro parte dallo studio dell'accumulo di proteine nel reticolo endoplasmatico”, spiega a QuotidianoSanità Stefano Zapperi, ricercatore ISI, che firma l'articolo assieme a Zoe Burdrikis (Fondazione ISI), Giulio Costantini (CNR) e Caterina La Porta (Dipartimento di Bioscienze dell'Università di Milano). “È lì che vengono alla luce le prime tracce della malattia. Se la persona è sana – nello stato fisiologico e naturale – le proteine prodotte si degradano e vengono distribuite nell'organismo. Nella malattia l'accumulo prosegue invece in modo aberrante: le proteine vengono prodotte ma non riescono più a uscire. Ciò che è interessante è che questo processo avviene in modo analogo a una transizione di fase, come la trasformazione di un liquido in gas. Pensiamo a quando si passa dai 99,5 gradi ai 100 gradi nella temperatura dell'acqua: il cambiamento è piccolissimo, quasi impercettibile, eppure l'effetto è radicale. Da quel momento l'acqua passa dalla forma liquida a quella gassosa. Qualcosa del genere avviene nel reticolo, nella fase di transizione in cui le proteine non vengono più degradate e inizia l'accumulo aberrante”.

Studiando la cinetica di aggregazione di proteine, attraverso la simulazione della diffusione di polimeri lineari, il gruppo di lavoro è riuscito a utilizzare con successo questo modello per descrivere dati sperimentali ottenuti in passato su altri pazienti. In particolare, sulla rimozione di beta-amiloide dal sistema nervoso centrale, permettendo di prevedere il comportamento atteso con la progressione del morbo di Alzheimer.

“Noi abbiamo svolto un lavoro particolarmente attento sull'Alzheimer” continua Zapperi “ma il nostro modello può essere utilizzato anche nello studio delle altre malattie degenerative che presentano processi comuni. La fisica in questo caso si affianca allo studio in vitro, offrendo nuove prospettive d'analisi sull'aggregazione e sul deposito di proteine in situazioni aberranti. È una innovazione importante, perché in futuro simili tecniche potrebbero offrire un decisivo contributo a livello diagnostico: individuando il momento in cui si arriva alla transizione di fase, si può sapere in anticipo quanto il paziente si sta avvicinando alla malattia e agire di conseguenza”.

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