La malattia o demenza di Alzheimer, che prende nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che ne descrisse i sintomi nel 1907 per la prima volta, colpisce circa il 5% della popolazione sopra i 60 anni e si manifesta inizialmente con una progressiva amnesia, prima sulle piccole cose, fino ad arrivare a non riconoscere nemmeno i familiari e ad avere bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. L’Alzheimer è uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali, che comporta una serie di difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività, in quanto colpisce sia la memoria che le funzioni cognitive, e questi si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare. Inoltre può essere causa di stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
Il codice di esenzione della malattia di Alzheimer è 029 (Malattie croniche).

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Viene dall’Italia un’interessante novità che riguarda i malati di Alzheimer e l’intera comunità scientifica.
Un’équipe di medici e ricercatori dell’Istituto di Neurologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele, guidati dal prof. Giancarlo Comi ha individuato un nuovo fattore diagnostico e prognostico per la malattia di Alzheimer. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Neurology .
Nel liquido cerebrospinale dei pazienti con morbo di Alzheimer è stato rilevato un alto livello di un nuovo marcatore infiammatorio, cioè particolari microvescicole che derivano dalle cellule microgliali.

La compagnia farmaceutica Eisai ha recentemente annunciato che il farmaco Aricept® ha raggiunto l’enpoint primario nello studio 339, studio clinico di fase III condotto in Cina.
Secondo i risultati dello studio, condotto su pazienti affetti da Alzheimer, il trattamento con Aricept® permetterebbe un miglioramento statisticamente significativo per quanto concerne i punteggi totali di ‘Severe Impairment Battery’ e quindi un miglioramento nei confronti della dementia associata alla patologia.

Grande riscontro di pubblico al convegno a più voci, perché “la malattia di Alzheimer non può e non deve essere affrontata da soli”

Si è celebrata il 21 settembre scorso la XXI Giornata Mondiale Alzheimer. Istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e Alzheimer’s Disease International (ADI), ha rappresentato il culmine del Mese Mondiale Alzheimer, ideato tre anni fa da ADI per meglio contrastare l’emarginazione sociale legata alla malattia. La Federazione Alzheimer Italia, rappresentante di ADI per il nostro Paese, ha organizzato numerose iniziative in molte città italiane che si sono affiancate agli eventi in programma in tutto il mondo.

Presidente Salvini Porro: “Il Rapporto pone come priorità globale l'inserimento dell'Alzheimer e delle altre demenze nei Piani nazionali di salute pubblica.
In Italia stiamo mettendo finalmente le prime basi”

La Federazione Alzheimer Italia (rappresentate per l’Italia di ADI - Alzheimer’s Disease International) ha presentato per la prima volta in Italia il nuovo Rapporto Mondiale Alzheimer 2014, intitolato “Demenza e riduzione del rischio: analisi dei fattori di protezione modificabili”.
“Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2014 presenta una importante analisi critica dei potenziali fattori di rischio di demenza relativamente a quattro ambiti principali: evolutivo, psicologico e psicosociale, legato allo stile di vita e cardiovascolare”, ha commentato Gabriella Salvini Porro, presidente Federazione Alzheimer Italia.

I ricercatori della Boston University School of Medicine (BUSM) riferiscono i risultati di un innovativo studio. Secondo la loro analisi, due rare varianti nel gene AKAP9 aumentano significativamente il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer (AD) per le persone afro-americane.

Questa scoperta favorisce la comprensione del ruolo dei fattori genetici nello sviluppo della sindrome di Alzheimer, tant'è che si pensa che ben il 75 per cento dei casi del morbo possa avere base genetica. Fondamentale pare dunque essere l'etnia, poiché in base ad essa i geni “in questione” sono più o meno presenti. Secondo i dati riportati dallo studio, gli afro-americani sono meno soggetti all'azione del gene rispetto ai caucasici nonostante il fatto che sia maggiore la percentuale di afro-americani affetti dal disturbo rispetto ai caucasici.

Ancora non c’è grande chiarezza sulla potenziale efficacia di crenuzumab, un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina beta amiloide sviluppato congiuntamente dalla società svizzera AC Immune e da Roche, per il trattamento della malattia di Alzheimer.

Due studi di fase II sono stati presentati qualche giorno fa alla Alzheimer Association International Conference (AAIC) di Copenaghen, in Danimarca, ma si tratta unicamente di risultati provvisori che non hanno raggiunto una significatività statistica, mostrando comunque un effetto benefico sui pazienti affetti dalla malattia in forma lieve.

È nata la “Global Alzheimer’s and Dementia Action Alliance” (Alleanza Globale della malattia di Alzheimer e della Demenza), il primo organismo che unirà istituzioni pubbliche, organizzazioni private e mondo del non-profit a livello globale per affrontare una sfida comune: combattere il dramma, divenuto oramai grave emergenza, della demenza.
La Federazione Alzheimer Italia, a fianco di ADI (Alzheimer’s Disease International), è unica testimone italiana della nascita dell’Alleanza.

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