La malattia o demenza di Alzheimer, che prende nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che ne descrisse i sintomi nel 1907 per la prima volta, colpisce circa il 5% della popolazione sopra i 60 anni e si manifesta inizialmente con una progressiva amnesia, prima sulle piccole cose, fino ad arrivare a non riconoscere nemmeno i familiari e ad avere bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. L’Alzheimer è uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali, che comporta una serie di difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività, in quanto colpisce sia la memoria che le funzioni cognitive, e questi si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare. Inoltre può essere causa di stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
Il codice di esenzione della malattia di Alzheimer è 029 (Malattie croniche).

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Il ‘fattore vene’ protagonista non solo nella sclerosi multipla, ma anche nel morbo di Alzheimer e nel Parkinson: questo uno temi più importanti emersi  nel Congresso  ‘Veinland’ che il Centro Malattie Vascolari dell'Università di Ferrara, diretto dal prof Paolo Zamboni, ha tenuto nell'Isola di Albarella (Rovigo) il fine settimana scorso su ‘Innovazione ed eccellenza in Flebologia’, con la presenza di relatori che nei rispettivi campi di ricerca sono ai vertici nelle università internazionali.

Il meccanismo scoperto dovrebbe essere applicabile anche ad altre malattie neurodegenerative

Quattro ricercatori della Fondazione ISI, dell’Università degli Studi di Milano e del CNR, combinando la fisica con la biomedicina, hanno compreso come funziona l’aggregazione delle proteine in disordini di tipo neurodegenerativo quali FENIB (encefalopatia con corpi d'inclusione di neuroserpina), Alzheimer, Parkinson e Huntington. Per svelarlo hanno studiato una trasformazione che in fisica ricorda quella di una ‘transizione di fase’ in cui un liquido passa allo stato gassoso, in una condizione di ‘non-equilibrio’, cioè una sorta di ‘processo di non ritorno’.
Secondo quanto emerso dal lavoro “Protein accumulation in the endoplasmic reticulum as a non-equilibrium phase transition” pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature Communication, le proteine 'complici' di queste malattie, come in un ‘passaggio irreversibile da liquido a gas’, si accumulano e non riescono più ad uscire. Nella regolazione del processo, secondo un’ipotesi, potrebbe essere coinvolto il metabolismo dei lipidi.

Presso l'ambulatorio i pazienti affetti da questa patologia potranno effettuare controlli gratuiti, avere diagnosi, valutazioni, supporto psicologico, sottoporsi ad esami in day hospital

Alzheimer: “patologia causata dalla perdita di neuroni in varie zone del cervello. Colpisce sia gli uomini che le donne e la sua frequenza aumenta con l'età, in particolare tra gli ultrasessantenni. La malattia si manifesta con turbe delle funzioni intellettive (memoria a breve termine, orientamento nel tempo e nello spazio, linguaggio, utilizzo degli oggetti, ecc.). Con il tempo si manifesta una progressiva perdita di autonomia”. Proprio per chi è affetto da questa malattia, nasce a Napoli il primo ambulatorio pubblico della Campania integrato per le demenze grazie alla collaborazione tra l’Aima (Associazione italiana malati di Alzheimer), l’Uva (Unità di valutazione Alzheimer dell’ospedale), l’Unità operativa complessa di Neurologia e Stroke dell’ospedale Cto ed i servizi territoriali dell’Asl Napoli 1 Centro, tramite il Servizio di umanizzazione dei percorsi assistenziali.

Il test misura la quantità di rame 'libero' nel sangue, considerato oggi un marker predittivo dell'insorgenza della malattia

C4D, un semplice esame diagnostico, una sigla dietro la quale può esserci la possibilità concreta di evitare la malattia di Alzheimer. Un prelievo del sangue e un’analisi ad hoc sono alla base di uno studio di ricerca tutto italiano iniziato una decina d’anni. Già in precedenza, a cominciare dal 1984, studi internazionali sulla malattia di Alzheimer avevano dimostrato la correlazione tra la presenza di rame in eccesso e la possibilità di sviluppare la malattia di Alzheimer.

Le aziende farmaceutiche Eisai e Biogen Idec hanno recentemente annunciato di aver avviato una collaborazione per sviluppare e commercializzare due dei candidati clinici, E2609 e BAN2401 (di produzione di Eisai), per il trattamento della malattia di Alzheimer (AD).
L'accordo prevede, inoltre, lo sviluppo e la commercializzazione di ulteriori due candidati di Biogen Idec: l'anticorpo anti-beta amiloide BIIB037 e l'anticorpo monoclonale anti-tau, per il trattamento della stessa patologia AD.

Secondo i risultati di uno studio, condotto dai ricercatori del Minnesota VA Health Care System di Minneapolis, recentemente pubblicati sul network "jama”, la vitamina E (alfa-tocoferolo) sarebbe in grado di rallentare la perdita funzionale correlata alla malattia di Alzheimer (AD) di grado lieve e moderato, con conseguenze positive sia per il paziente che per il caregiver. Tali risultati sono stati ottenuti da uno studio controllato con placebo.
I ricercatori hanno anche indagato la differenza d'azione tra il complesso alfa-tocoferolo-memantina e la sola memantina ma non hanno riscontrato  differenze significative di risultato.

Secondo ben due articoli pubblicati sullo stesso numero del “New England Journal of Medicine”, gli anticorpi monoclonali umanizzati solanezumab e bapineuzumab, diretti contro la beta-amiloide non mostrerebbero reali miglioramenti nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer (AD) di grado lieve a moderato. Secondo quanto riportato in questi studi, non si riscontrano miglioramenti né per quanto concerne le funzioni cognitive né per quelle funzionali.

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