La psicologa Rosalba Semeraro spiega i complicati rapporti fra il corpo e la psiche e presenta i progetti dell'associazione Naevus Italia Onlus
PAVIA – Il corpo e la psiche e sono strettamente collegati, e se uno dei due soffre, influenza anche l'altro. Questo accade in modo particolare per le malattie della pelle: quando le figure del dermatologo e dello psicologo si incontrano, lì nasce la psicodermatologia. In Italia, tuttavia, non è ancora molto conosciuta, e non tutti i professionisti ne riconoscono la validità. Ne abbiamo parlato con la dr.ssa Rosalba Semeraro, psicologa clinica e psicodiagnosta, dal 2010 responsabile degli interventi psicosociali per l'associazione Naevus Italia Onlus, dedicata alle famiglie con pazienti affetti da nevo melanocitico congenito gigante.
Questa malformazione cutanea, presente fin dalla nascita in 1 neonato ogni 30.000-50.000, si manifesta come una macchia scura che può avere un aspetto esteticamente poco gradevole. In un articolo precedente avevamo raccontato la battaglia decennale dell'associazione per il riconoscimento di questo voluminoso neo come malattia rara.
“Molti disturbi psichici – spiega la dr.ssa Semeraro – hanno ripercussioni a livello dermatologico: d'altra parte il cervello e la pelle si sviluppano dallo stesso foglietto germinativo. In questi casi occorre lavorare in équipe: un ottimo esempio di team multidisciplinare composto da psicologi e dermatologi è l'ospedale San Martino di Genova”. Proprio nel capoluogo ligure si è tenuto recentemente il XX Congresso Nazionale SIDEP (Società Italiana di Dermatologia Psicosomatica), dove la psicologa ha presentato il progetto ICONA.
“L'obiettivo è aiutare le persone con nevo gigante a costruire la propria immagine corporea, ovvero la percezione di sé di cui parlava Freud già nel 1920: un processo che inizia nell'infanzia e si completa nell'età adulta. L'identità corporea ha a che fare anche col giudizio degli altri, ed è facile immaginare quanto possa essere problematica per chi ha delle alterazioni morfologiche così invasive; molti adulti sostengono di aver fatto i conti con questa malformazione, ma non è sempre vero: molti di loro non sono del tutto sereni, è una cosa che rende la vita difficilissima”, continua la dr.ssa Semeraro.
Dal progetto ICONA si passerà a quello, di ricerca scientifica, denominato ICONE, che mira a misurare la qualità dell'immagine corporea negli adolescenti e negli adulti con nevo gigante, con l'ausilio di test psicometrici validati a livello nazionale: lo studio, che coinvolgerà anche i genitori, è condotto dalla dr.ssa Semeraro, da Filippo Aschieri, ricercatore presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da Fabio Arcangeli, dermatologo dell'Università G. Marconi di Roma, e da Giovanni Raciti, ingegnere biomedico. L'analisi dei dati servirà a capire quanto l'immagine corporea delle persone con nevo gigante sia diversa dalla popolazione di riferimento o da quella dei pazienti con altri disturbi dermatologici.
“Il dilemma, per i genitori, è decidere se sottoporre o meno i figli agli interventi per eliminare almeno parzialmente il nevo. Spesso i padri sono più a favore dell'intervento rispetto alle madri, hanno un approccio più pragmatico, ma questo dipende anche da come il neonatologo affronta il problema nel riferirlo ai genitori. So di un neonato che ha fatto un intervento di dermoabrasione a 15 giorni di vita, ho conosciuto una ragazza che ha affrontato addirittura 60 interventi di espansione cutanea, invasivi e non del tutto risolutivi; un'altra, a 18 anni, ne aveva già fatti 30: significa aver trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza con gli espansori sotto la pelle. Lo psicologo non può sapere qual è la scelta migliore, ma il suo compito è aiutare le famiglie a fortificare le loro decisioni e individuare risorse e fragilità nelle dinamiche del nucleo familiare”.
Problemi che in questa società basata sull'immagine diventano ancora più gravi, compromettendo l'autostima e i rapporti personali, ma che possono anche essere affrontati con coraggio e determinazione, come abbiamo raccontato nelle storie della 13enne Anna e della 18enne Enza.
“Spesso i pazienti hanno delle difficoltà nel gestire questo tsunami di emozioni, perché è stato accertato un legame tra ospedalizzazione precoce e alessitimia, cioè l'incapacità di riconoscere le proprie emozioni e di comunicarle verbalmente”. In più, i piccoli pazienti possono essere vittime del bullismo, con insulti e prese in giro: “Una delle nostre attività – conclude la dr.ssa Semeraro – consiste infatti nel preparare insegnanti e istruttori di attività fisiche ad affrontare queste situazioni”.
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