Per l’occasione un’intervista realizzata dal genetista Matteo Bertelli, presidente e fondatore di MAGI
Rita Levi Montalcini ha festeggiato proprio ieri il suo centotreesimo compleanno. La celebre scienziata è nata a Torino nel 1909 e ha ottenuto nel 1986 il Premio Nobel per la medicina. Neurologa e senatrice a vita Montalcini è da sempre impegnata a promuovere e sostenere la ricerca scientifica e spesso ha sostenuto campagne politiche e sociali di grandissima rilevanza. Rappresenta per noi tutti un’icona di forza e intraprendenza senza pari.
Per renderle omaggio riproponiamo oggi un’intervista realizzata nel 2006 a Rita Levi Montalcini dal genetista Matteo Bertelli, presidente e fondatore di MAGI, Istituto non profit di genetica specializzato nella diagnosi di malattie rare. In quest’occasione Montalcini ha ripercorso la sua storia di scienziata, incoraggiando i giovani ricercatori italiani a non perdersi d'animo.
Bertelli: Professoressa, io ho fondato una Onlus con lo scopo, seppur essendo noi di dimensioni molto modeste, di riunire i ricercatori di buona volontà di origine Italiana dispersi nel mondo e creare una massa critica di cervelli che possa col proprio entusiasmo e con la propria conoscenza dimostrare che la ricerca può portare molto per il paese. So che lei ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca, ma in particolar modo ad educare i ricercatori a credere in questa missione. Volevo chiederle, a suo parere, quale è il ruolo positivo della ricerca in Italia.
Montalcini: Direi che non c'è sviluppo senza ricerca. La ricerca è basilare per lo sviluppo di un paese. Purtroppo in Italia non è mai stata apprezzata come era dovuta in tutti i secoli e decenni passati. Oggi io spero che ci sia una revisione di questa attitudine così negativa rispetto alla ricerca. Io sono tornata in Italia dopo trent'anni negli Stati e ogni anno di più mi sono resa conto dell'enorme capitale umano, d'ambo i sessi, che noi abbiamo in possesso, quindi mandarlo all'estero è suicidio. Di fatto ho dedicato gli ultimi anni della mia lunghissima vita al rientro in Italia degli Italiani nati all'estero e ho avuto un certo successo, ho creato un'istituto: EBRI (European Brain Research Institute), che ha come scopo quello di richiamare gli Italiani e anche stranieri in Italia.
La mia speranza è che le Istituzioni migliorino da lato finanziario e che molti più Italiani, e non solo Italiani, vengano a Roma a svolgere attività nell'Istituto che io dirigo. L'Istituto EBRI ha come finalità lo studio del sistema nervoso nel campo delle neuroscienze, sia per l'importanza basilare di queste conoscenze che per la ricaduta diretta a livello clinico. Noi sappiamo la tragedia delle malattie neurodegenerative: l'Alzheimer, il Parkinson ed altre, dovute ad un malfunzionamento del cervello. Uno dei compiti che si propone e che si è proposto con successo l'Istituto da me diretto è quello di trovare una terapia ed è stata trovata, in parte, già per malattie tipo Alzheimer e molto per malattie di tipo oftalmologico, perdita della vista che oggi si può recuperare con il fattore da me scoperto.
B: Gli obiettivi scientifici che lei sta perseguendo sono veramente un faro per tutte le persone che oggi, in Italia e all'estero, si vogliono dedicare a questo percorso. Dal punto di vista culturale sicuramente i ricercatori Italiani si trovano in un momento di difficoltà...
M: Non difficoltà, dal lato scientifico sono alla pari e anzi direi in un certo senso anche superano i colleghi stranieri perché ‘chi ha fame ha più vantaggio dal cibo di chi ne è saturo’. Gli Italiani hanno mancato la possibilità e quindi si trovano oggi in una competizione favorevole coi colleghi stranieri e tale è l'appetito, tale è il bisogno di svolgere attività là dove non è stata loro concessa condizione favorevole come all'estero. Anche per me è stata la stessa cosa, sono rientrata in Italia nel '60 e ho avuto la facilità, il piacere di svolgere la mia attività con giovani e attualmente malgrado la mia età molto avanzata, 99 anni come lei saprà, io continuo a dirigere la ricerca e ho intorno a me tanti giovani di altissimo valore (particolarmente di sesso femminile).
B: E' veramente ammirevole quello che lei dice Professoressa. Quando lei ha cominciato a fare ricerca si trovava in un panorama storico-culturale molto difficile. Leggendo anche i suoi libri...
M: Negli anni della persecuzione...
B: ..Si ha la dimostrazione di capire come ci volesse un'enorme forza interiore per dedicarsi a degli obiettivi di così alto senso..
M: La persecuzione, considerata di razza inferiore, Hitler, Mussolini, ho lavorato in camera da letto e le ricerche fatte mi hanno portato a Stoccolma, molti anni dopo. In camera da letto, una piccolissima stanza nella quale lavoravo indifferente alle insolenze che sentivo, diciamo non persecuzioni personali ma un clima culturale dei periodi fascisti.
B: Oggi la ricerca, per la cultura Italiana, non è fra le priorità, nelle cose più considerate, perché non è una di quelle cose che ha un' immagine di altre cose più materiali e che forse si possono consumare.
M: Diciamo che non soltanto in Italia ma in tutta Europa, in tutto il mondo, la ricerca adesso è in ribasso. I giovani dappertutto preferiscono il successo, la ricchezza, il riconoscimento, alla ricerca, cioè i valori per cui evitano di entrare in un campo difficile come il campo scientifico, che non ha immediata ripercussione a livello di conoscenza del pubblico.
B: Io penso che per un giovane ricercatore oggi, che deve formarsi anche culturalmente, trovare un parallelismo tra i valori fondanti che hanno portato lei ad una doppia vittoria scientifica e culturale in un'epoca di difficilissima situazione anche economica che stava passando il paese, ma più che altro culturale..
M: Tuttavia oggi almeno i piccoli gruppi che ho la fortuna di dirigere sono entusiasti. Come dico il capitale umano non ha sesso, è ugualmente distribuito tra maschi e femmine. Oggi le donne stanno dando eccezionale prova delle loro capacità, dell'impegno e dell'alta competenza in campo scientifico.
B: La sua ricerca di neuroscienziata l'ha portata a delle grandi scoperte, come lei diceva, per delle malattie neurodegenerative. Secondo lei i futuri decenni, nell'ambito delle neuroscienze, quali scoperte ancora ci permetteranno? Il Prof. Brunelli, ad esempio, è convinto che si arriverà un giorno a poter curare anche, quel flagello che sono, i paraplegici. Qualcosa che oggi riteniamo impensabile!
M: Ho molta stima e fiducia nell'attività svolta, eccellente, dal Prof. Giorgio Brunelli e ritengo che le sue speranze un giorno, speriamo di essere ancora tra i viventi, si saranno avverate.
Seguici sui Social