Un modo molto personale di descrivere la malattia che racconta quanto sia importante non farsi definire dall’endometriosi ma usarla come un mezzo per definire se stessi
Più o meno tutti convivono con delle difficoltà che in qualche modo rendono meno facile il percorso della vita ma è nel momento in cui esse costituiscono un pesante intralcio nella quotidianità che si genera una situazione veramente drammatica. O meglio, patologica. Ne sa qualcosa Mariachiara Tirinzoni, affetta da endometriosi, una patologia dovuta alla presenza di cellule endometriali al di fuori della cavità uterina: si tratta di una malattia cronica che interessa ben una donna su 10 e, tra le molte complicanze, ha anche l’infertilità. Per anni Mariachiara anni si è confrontata sia con questa patologia scatenatasi dentro il suo corpo, sia con l’incapacità di comprendere da parte di coloro che, dal di fuori, tendono a minimizzare il problema.
“Le amiche, le compagne di scuola, persino le madri, faticano a comprendere quanto si soffra con l’endometriosi se non ci sono passate a loro volta”, racconta Mariachiara. “Nel mio caso il livello di dolore associato alle mestruazioni è tutt’altro che normale. Al liceo sono svenuta più di una volta per il dolore, a volte mio padre doveva venirmi a prendere e in certi casi mi ha portato fuori dall’istituto in braccio perché non riuscivo a reggermi in piedi e camminare. A causa dell’endometriosi ricordo di aver dovuto rinunciare a diverse gite di classe, non solo per il disagio di avere un ciclo molto doloroso, ma anche perché ciò avrebbe significato rimanere a letto tre giorni mentre i miei compagni visitavano la città. Mi trovavo in una condizione particolarmente debilitante e a rendere più viva la mia sofferenza c’era il fatto di non essere adeguatamente compresa”.
Nella maggior parte delle situazioni, infatti, l’endometriosi viene diagnosticata con grande ritardo proprio perché inquadrata - erroneamente - solo come una dismenorrea: in molte si sentono dire che cose del genere capitano, come se quel dolore fosse un sintomo normale, arrivato come un “extra” particolarmente sfortunato insieme alle mestruazioni. Invece, ad essere affetta da endometriosi è una donna su dieci, ma nonostante questo la malattia è percepita spesso come “rara” e per moltissime persone è difficile inquadrare la sofferenza che essa porta con sé. Per abbattere questa barriera invisibile e avvicinare le donne con endometriosi, Mariachiara ha iniziato la stesura di un libro nel quale racconta la sua esperienza. Un libro dal titolo evocativo: piccole cose arrabbiate.
“Il titolo trae origine da un’espressione nata nel momento in cui ho visto per la prima volta le cisti dell’endometriosi che hanno una forma irregolare”, spiega Mariachiara. “Con un po’ di immaginazione le ho trasformate in minuscoli esseri arrabbiati presenti all’interno del mio corpo. Qualcuno identifica l’endometriosi come la parte femminile che si ribella ma, in realtà, di questa rabbia ho capito di dovermi prendere cura, perché essere arrabbiati è comunque un modo per porre una domanda, sollevare un problema o smascherare una forma di sofferenza”. Il punto di partenza per la riflessione di Mariachiara sull’endometriosi è stato proprio la diagnosi, giunta appena quattro anni, fa, che le ha permesso di dare un volto a queste “piccole cose arrabbiate”. La prima e più potente sensazione è stata quella di aver in mano un problema concreto su cui mettere le mani e non tanto un’entità astratta.
“Questa malattia si trascina dietro un’apparente invisibilità perché raramente la donna che ne soffre ha l’aria di essere malata”, prosegue. “Manca un vissuto di sofferenza comprensibile agli altri che, anzi, tendono a considerarci come persone difficili, che hanno esigenze che per forza di cose influiscono sulla quotidianità, come la particolare attenzione all’alimentazione. Le persone faticano a comprendere i sintomi e ad empatizzare con chi è malato perché da fuori l’endometriosi non si vede ma di questa malattia ci si deve prendere cura anche e soprattutto in quei momenti”. In un’anticipazione del suo libro, pubblicata in un blog dedicato alle problematiche di genere, Mariachiara spiega di aver vissuto per anni questa situazione debilitante, anche prima di ottenere la diagnosi che la riconoscesse in quanto malattia, come un avversario interno al suo corpo, relegato alla sua identità femminile, di ragazza e donna. Un elemento che la faceva inciampare nel suo percorso di vita. Ma se di queste piccole cose arrabbiate ci si prende cura, come lei stessa afferma, conviverci diventa possibile. “L’endometriosi non mi abbandonerà mai ma capirla mi ha restituito il controllo della situazione”, precisa. “È stato anche un mio modo per riconoscerne l’esistenza e per chiedermi cosa avrei potuto fare per affrontarla. Nel caso delle malattie croniche c’è sempre il rischio di identificare la propria vita con l’esperienza della malattia ma non è affatto così. La malattia ha un grande impatto sulla vita e la condiziona sotto molti aspetti ma non ci definisce come persone o come donne”.
Al contrario, nei suoi dialoghi con ginecologhi, nutrizionisti ed ecografisti - perché l’endometriosi va gestita da diverse angolazioni e con la collaborazione di specialisti di vari settori - Mariachiara ha costruito il suo personale e condivisibile modo di far fronte all’endometriosi, classificandola come un’opportunità per trovare in sé stessa delle risposte che non pensava di dover cercare. “Tra le terapie che ho seguito c’è quella chetogenica, la quale richiede una fortissima disciplina per essere portata a termine ma nel mio caso risulta di grande aiuto per controllare i sintomi dell’infiammazione”, racconta Mariachiara. “Aderendo a questo protocollo mi sono resa conto di possedere questa disciplina e guardandomi allo specchio ho capito di potercela fare. Inoltre, il fatto di sentirmi meglio mi ha dato un ulteriore impulso a non mollare. Questa opportunità di conoscermi meglio come persona mi è giunta proprio perché mi sono dovuta confrontare con l’endometriosi”.
Insieme alla terapia medica, alle pazienti con endometriosi può essere proposta una dieta chetogenica, uno schema nutrizionale a basso contenuto percentuale di carboidrati e alto contenuto percentuale di proteine e grassi che ha l’obiettivo di produrre i corpi chetonici dal metabolismo di questi ultimi per ricavare energia. “La dieta chetogenica può essere effettuata ricorrendo ad alimenti naturali, con il rischio tuttavia di avere un eccesso di grassi nell’alimentazione, oppure utilizzando prodotti nutraceutici quali sostituti di alimenti sotto forma di polveri, crackers, snack, biscotti, formati come pasta, supportati da integratori di vitamine e minerali”, spiega il dott. Fabrizio Contarino, specialista in Ginecologia e Ostetricia presso l’Ospedale di Conegliano Veneto.
“Diversi sono i vantaggi di una dieta chetogenica. Innanzitutto, la ridotta quota di carboidrati migliora la glicemia, in secondo luogo la risposta insulinica viene mantenuta a livelli costanti. La dieta contribuisce ad attivare il metabolismo dei grassi producendo corpi chetonici e riduce la conversione periferica degli androgeni in estrogeni circolanti con ridotto impatto di questi ultimi sui focolai di endometriosi estrogeno-dipendenti. Inoltre, l’assunzione di alimenti ricchi di grassi polinsaturi come Omega 3, fibre e vitamine del gruppo B, migliora il metabolismo epatico degli estrogeni con riduzione di quelli circolanti, stimolando la produzione di prostaglandine ad azione antiinfiammatoria e riducendo lo stress ossidativo”. La dieta chetogenica non è però uno strumento semplice da gestire e può avere effetti collaterali - come il raggiungimento di uno stato di chetosi o acetonemia con elevati livelli di corpi chetonici nel sangue e nelle urine - perciò deve essere condotta sotto stretto controllo di uno specialista.
Mariachiara sta lavorando assiduamente al suo libro, il cui pilastro fondamentale è il tema della condivisione con le altre pazienti di un’esperienza che va al di là della sofferenza ma entra nel mondo della relazione con se stesse e con gli altri; perché l’endometriosi scatena una rabbia a volte difficile da controllare ma solamente sentirsi dire “anche io” da qualcuno che comprenda e condivida aiuta a dare un senso a queste piccole cose arrabbiate.
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