Sono 4mila le nuove diagnosi annue. I dati del XV Congresso Nazionale SIMIT
Tra i nuovi malati di HIV, un italiano su due scopre troppo tardi di aver contratto il virus. Per questo motivo, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), in collaborazione con il Ministero della Sanità, è impegnata nella redazione di linee guida che favoriscano una migliore prevenzione della malattia. Dell'argomento si è parlato a Baveno (VB), sul Lago Maggiore, dove si è appena svolto il XV Congresso Nazionale SIMIT, con oltre 800 specialisti presenti, provenienti da tutta Italia e dall’estero.
Nel corso dell'appuntamento, organizzato dal Prof. Gaetano Filice, Direttore dell'Unità di Malattie Infettive del Policlinico San Matteo di Pavia, e dal Prof. Domenico Santoro, Direttore dell'Unità di Malattie Infettive dell'Azienda Ospedaliera S. Anna di Como, sono state ampiamente approfondite e discusse tematiche relative ad antibiotico-resistenza, malattia da HIV, epatite, patologie parassitarie e tropicali, infezioni nel paziente fragile o immuno-compromesso e infezioni correlate all'attività di assistenza.
HIV e terapie
Oltre 90.000 persone sono attualmente in terapia o in contatto con i centri specializzati. Si stima che ce ne siano altre 20/30mila che non sono consapevoli dell'infezione oppure non sono in contatto con i centri. Delle circa 4.000 nuove diagnosi di infezione registrate ogni anno, oltre la metà avviene quando la malattia è già in uno stadio avanzato. Secondo l'OMS, i giovani maschi omosessuali, se non si proteggono adeguatamente, rischiano di infettarsi circa 20 volte di più rispetto ai coetanei eterosessuali.
“Le persone che hanno un'infezione sia da HIV che da HCV - spiega il Prof. Massimo Galli, vicepresidente SIMIT - presentano un andamento della malattia epatica più rapido. Uno dei temi caldi del momento è il poter estendere al massimo, nelle persone con coinfezione HIV-HCV, le terapie con farmaci anti-HCV ad azione diretta (DAA), superando le barriere di ordine economico fino ad ora imposte, che hanno limitato le possibilità di terapia solo a coloro che presentavano una malattia epatica già avanzata. Le regioni italiane con il più alto numero di persone che vivono con HIV/AIDS sono Lombardia, Lazio e Liguria. Per merito della terapia, la mortalità per HIV/AIDS è crollata e la qualità di vita delle persone colpite è molto migliorata, così come la loro aspettativa di vita. Tuttavia la patologia non è sconfitta, e alla sospensione della terapia segue di regola la ripresa della replicazione del virus e della progressione della malattia, che resta inesorabilmente fatale se non trattata”.
I dati italiani
In Italia i nuovi casi ogni anno sono 4mila, e riguardano soprattutto i giovani. Di questi, il 60% è diagnosticato in fase tardiva di infezione. La Lombardia, con circa 20mila persone sieropositive, è tra le regioni italiane più colpite, insieme a Lazio, Emilia Romagna e Liguria. In Italia sono 120.000 le persone che convivono con l’HIV: a fronte di un importante calo della mortalità grazie alle terapie, si segnala una drastica riduzione dell'informazione in merito. I nuovi casi, circa uno ogni 2 ore, negli ultimi due anni riguardano soprattutto i giovani tra i 25 e i 29 anni.
Secondo il Bollettino del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile, in Italia, a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’84,1% di tutte le segnalazioni (poco più della metà delle quali in eterosessuali, maschi e femmine, il resto in maschi omosessuali). Negli ultimi anni, circa una persona su quattro tra quelle a cui viene per la prima volta diagnosticata l'infezione da HIV è di nazionalità estera. Va però ricordato che gli stranieri vengono avviati al test più frequentemente degli italiani, soprattutto se provengono da Paesi ad alta endemia. Il 37% degli italiani non si è mai sottoposto al test HIV e il 5% delle persone che vivono con HIV non lo avrebbe mai detto al proprio partner. Il 40% non rivela ai familiari di aver contratto il virus e il 74% non lo dichiara nel contesto lavorativo.
Seguici sui Social