Aumenta la sopravvivenza e rallenta le metastasi, conclusi i due studi di fase III del farmaco sperimentale, si aspetta ora il via libera dell’FDA
Non è una cura, né tantomeno una molecola miracolosa. Regorafenib può essere considerata, a ragione, la cosiddetta ‘speranza teraputica’ per i pazienti in metastasi da cancro del colon-retto che non potrebbero più ricorrere ad alcun trattamento efficace. Per i ricercatori dell’oncologia è, invece, un’arma in più che si affianca agli altri sette chemioterapici oggi in uso che, negli ultimi quindici anni, hanno aumentato la sopravvivenza a questo tipo di cancro, in fase finale, dai soli 8 mesi precedenti fino a 2 anni.
Ma soprattutto quella del regorafenib, inibitore multichinasico ad uso orale di Bayer HealthCare, è la bella storia di quando una molecola, già in uso sperimentale come ‘farmaco orfano’ per i tumori gastrointestinali stromatici (GIST), si dimostra così efficace da ottenere dalla FDA una riduzione nei tempi di approvazione, da 10 a 6 mesi, per la sua commercializzazione, che potrebbe avvenire addirittura entro fine anno.
Sono due gli studi finanziati dalla casa farmaceutica tedesca che hanno valutato l’efficacia del farmaco, uno su 760 pazienti con cancro colon-rettale metastatico (studio CORRECT – Patients with metastatic colorectal cancer treated with regorafenib or placebo after failure of standard therapy) e l’altro su 199 pazienti con GIST (studio GRID - Regorafenib in progressive disease): entrambi randomizzati e confrontati con placebo, hanno raggiunto nella fase III, cioè quella che precede la commercializzazione, gli obiettivi di successo del modello di ricerca, cioè rispettivamente un aumento della sopravvivenza e la capacità di rallentare l’avanzata del tumore (progression free survival).
Dal punto di vista statistico, l’aumento della sopravvivenza confermato è del 29 per cento. Per il paziente questo corrisponde a un mese di vita o poco più. “Si parla di persone che sono passate attraverso i vari stadi del tumore, da quella iniziale alla più grave delle metastasi e la prospettiva di avere un mese in più, per loro, è il vero guadagno – commenta Alberto Sobrero, direttore dell’Unità di Oncologia dell’Ospedale San Martino di Genova, al 14mo Congresso mondiale sui Tumori Gastrointestinali tenutosi nei giorni scorsi a Barcellona – Il mio entusiasmo deriva dal fatto che ora abbiamo a disposizione un nuovo farmaco che funziona e dà effetti collaterali lievi rispetto agli altri chemioterapici.”
Regorafenib è l’unico inibitore multi-chinasico sperimentale che, al momento, ha avuto successo laddove altri hanno fallito. Agisce su diversi recettori - per l’oncogenesi, l’angiogenesi e il microambiente tumorale - che servono al tumore per continuare a produrre cellule maligne e alimentarsi attraverso i vasi sanguigni ed è in grado di inibirli, con l’effetto quasi di ‘imbalsamare’ le metastasi e impedire un’ulteriore diffusione del cancro fuori dall’apparato gastro-intestinale. L’efficacia della molecola ha dimostrato, inoltre, di essere insensibile alla mutazione del gene KRAS, una variazione genetica che determina resistenza ai chemioterapici oggi in uso, come in questo caso imatinib e sunitinib, e fa sì che nel 40 per cento dei pazienti con cancro colon-rettale le terapie standard siano inefficaci.
“Ora dobbiamo fare ulteriori passi avanti e imparare a selezionare i pazienti che possono trarre maggiore beneficio dal trattamento con il farmaco – avanza Salvatore Siena, direttore della Divisione di Oncologia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano che, insieme al team genovese e altri italiani, ha condotto la sperimentazione dell’inibitore – Già da qualche anno si è intrapresa la strada della terapia personalizzata sul paziente. Per farlo è indispensabile individuare dei biomarcatori, cioè dei segnali che indicano una maggiore o minore sensibilità di un paziente nella risposta a uno specifico trattamento con i chemioterapici. Questo permette di evitare di somministrare a un paziente terapie che possono risultare inefficaci e di farlo soffrire inutilmente”.
I chemioterapici sono usati in combinazione tra loro per potenziarne gli effetti e la disponibilità di nuove molecole può consentire non solo di agire sul cancro direttamente ma anche di aggirare questi ostacoli e garantire al paziente una maggiore probabilità di successo.
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