Più alto il rischio nei parenti di chi è stato diagnosticato, non solo quelli di primo grado. Secondo uno studio statunitense le attuali linee guida mancherebbero il 10% delle diagnosi precoci

Avere una storia famigliare di cancro del colon-retto significa sottoporsi a controlli regolari, per l’individuazione tempestiva di polipi adenomatosi che possono degenerare in neoplasia – seppure in molti casi siano benigni. I parametri per uno screening precoce sono suggeriti dalle linee guida internazionali, ma secondo una ricerca dell’Huntsman Cancer Institute (HCI) dell’Università dello Utah, pubblicata su "Cancer " necessitano di essere ampliati: sembra infatti che escludano una sottopopolazione di soggetti ad alto rischio, con un fallimento di diagnosi precoce stimato attorno al 10%.

Chi sono i soggetti ad alto rischio per storia famigliare? Le linee guida della US Preventive Services Task Force raccomandano una colonscopia – l’esame che meglio può stabilire la presenza di formazioni polipose nel tratto intestinale – dai 50 anni di età, da ripetersi ogni decennio. In caso di storia famigliare, lo screening è precoce: già a partire dai 40 anni di età, e ripetuto ogni 5 anni, per genitori, figli e fratelli di pazienti con diagnosi di cancro colorettale. Nessuna prevenzione particolare, invece, per i famigliari di secondo e terzo grado, considerati pari in rischio al resto della popolazione.

E’ su quest’ultimo aspetto che si è concentrato lo studio dei ricercatori statunitensi, analizzando i risultati della colonscopia di 127 mila soggetti, di età compresa tra i 50 e gli 80 anni. Tra gli individui con storia famigliare, è stato confermato che il rischio di cancro colorettale era più alto del 35-70% nei parenti di primo grado, ma è stato osservato un maggiore rischio anche nei famigliari di secondo e terzo grado, seppure non così alto.

Secondo i ricercatori, attendersi strettamente alle linee guida, che oggi non raccomandano una colonscopia precoce ai famigliari di secondo e terzo grado, può comportare la mancata diagnosi tempestiva in almeno un paziente su 10.

Sebbene i risultati confermino l’efficacia delle attuali linee guida internazionali, in termini di prevenzione, “mettono però in luce la necessità di considerare un approccio diagnostico più approfondito”, concludono i ricercatori.




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