Osservatorio Malattie Rare intervista il dr. Roberto Baldelli, coordinatore del congresso.
Roma - Li chiamano neuroendocrini ma la parola potrebbe trarre in inganno: questi tumori, infatti, non sono esclusivi né del sistema nervoso né dell’apparato endocrino, ma possono colpire una grande varietà di organi. Il nome arriva da lontano, quando si credeva che un certo tipo di sostanze (neurotrasmettitori) fosse prodotto solo da cellule del sistema nervoso: solo in seguito, infatti, si comincerà a parlare di sistema neuro endocrino diffuso (DNES). Ed è proprio da questo sistema, assai più ampio di quello che si credeva in passato, che originano i tumori neuroendocrini, eterogenei sia per la localizzazione - anche se la maggiore frequenza di insorgenza si ha nel distretto gastro-entero-pancreatico e toracico – che per le caratteristiche di aggressività e sintomi. Le cellule del sistema neuroendocrino, infatti, sono presenti in tutto l’organismo ma con funzioni diverse a seconda dell’organo in cui si trovano e proprio per questo un’eterogenea varietà dei sintomi.
E’ di questo gruppo di tumori, non piccolo nel suo complesso ma caratterizzato anche da una serie di tumori rari o rarissimi, si parlerà il prossimo 8 e 9 Aprile all’Istituto Nazionale Tumori ‘Regina Elena” di Roma (IFO) ad un congresso presieduto dal Dr. Roberto Baldelli (clicca qui per il programma completo), che per l’occasione ci aiuta a far luce su questo gruppo di neoplasie, noto anche come NET (dall'inglese Neuro-EndocrineTumor).
Dottor Baldelli, questa è la seconda edizione del ‘MARE NET’ acronimo di “Multidisciplinary Approach Re- Evaluating NET”. Lo slogan di quest’anno è “Cominciamo insieme un viaggio alla riscoperta dei tumori neuroendocrini: un impegno assistenziale, scientifico e sociale”.
Perché una riscoperta? Ci sono state tante novità negli ultimi anni?
Sì, le novità sono diverse e la maggior parte dei cambiamenti ci sono stati proprio negli ultimi 5 anni. Grandi passi avanti ci sono stati nella conoscenza della biologia di questi tumori e dei biomarcatori che li caratterizzano: da qui una diagnosi più precisa e anche più precoce. Oggi riusciamo a diagnosticare tumori che prima non avremmo mai visto, da qui un apparente aumento di casi e un abbassamento dell’età media di insorgenza. Grazie a queste maggiori conoscenze gli anatomopatologi hanno potuto riclassificare queste neoplasie; tali classificazioni non sono però fini a sé stesse in quanto ci permettono di rivalutare le curve di sopravvivenza proprio alla luce di queste nuove caratteristiche. In questi 5 anni sono arrivate anche nuove terapie, e nuovi utilizzi di terapie già note: oggi abbiamo a disposizione un armamentario che prima non avremmo nemmeno immaginato.
Senza scendere nei dettagli delle classificazioni, lavoro che lasciamo agli anatomopatologi, possiamo fare delle distinzioni per macro categorie di questi NET?
La prima che va certamente fatta è tra quelli secernenti, o attivi, e quelli non secernenti.
I primi, i Net secernenti, rappresentano una minoranza, il 10 – 20% circa, e sono caratterizzati dalla capacità di produrre delle sostanze biologicamente attive. In questi casi i pazienti sviluppano una sindrome che è legata principalmente all’azione di queste sostanze più che alla massa tumorale. Sintomi abbastanza comuni sono una diarrea, vampate di calore, perdita di peso. Poi ci sono sintomi variabili che dipendono dal tipo di sostanza prodotta e dalla localizzazione: ci sono NET che causano una produzione di serotonina (carcinoidi) che può anche andare a danneggiate le valvole cardiache sviluppando una fibrosi, altri che possono dare luogo a un diabete resistente alle terapie. Quando ci troviamo di fronte alla tipica sindrome da carcinoide il nostro primo pensiero deve essere quello di limitare i sintomi e gli effetti dipendenti dall’iperproduzione di sostanze attive, e con questo approccio migliorare anche la qualità di vita del paziente.
Nell’80% dei casi circa però ci troviamo di fronte a NET non secernenti, vuol dire che non producono nulla o producono sostanze non biologicamente attive: in questo caso i sintomi sono legati all’effetto massa. In genere la diagnosi è più tardiva, spesso occasionale, in seguito ad esami di tipo ecografico o RMN o TAC con mezzo di contrasto che mostra una massa molto vascolarizzata – caratteristica di questi tumori – e frequentemente la malattia è già in fase metastasi.
I pazienti hanno un’età tipica? Qual è la loro aspettativa e qualità di vita di fronte ad una diagnosi del genere?
Per i NET parliamo di pazienti adulti ma non anziani. L’età della diagnosi si sta abbassando e si cominciano ad osservari casi con età intorno ai 30 – 35 anni. Se volessimo fare una media possiamo comunque dare l’età 40 – 60. Rispetto al passato l’aspettativa di vita è migliorata, anche se molto dipende da quanto è precoce la diagnosi e la prognosi può cambiare secondo lo specifico tipo di NET. In ogni caso sono mediamente paziente lungo sopravviventi. Per quanto riguarda invece la qualità di vita il vero problema si pone quando si sviluppa una sindrome carcinoide, che può essere davvero invalidante.
Parliamo di terapie, ha detto che negli ultimi 5 anni l’armamentario è molto cresciuto: che novità ci sono?
Le terapie di questi tumori passano sia per la chirurgia che per i farmaci e la decisione del giusto approccio da seguire può essere fatta solo dopo una precisa caratterizzazione del tumore, che vuol dire identificarlo, farne la stadiazione, capire il grado di differenziazione e l’indice di proliferazione. Se non ci sono metastasi la chirurgia può essere il primo e più importante approccio, se la situazione è più compromessa è necessario stabilire che tipo di approccio farmacologico attuare.
Facciamo il punto sui farmaci, ci ha detto che anche in questo ci sono state delle novità importanti, quali?
Le classi di farmaci che abbiamo oggi a disposizione sono diverse. Una è composta dagli analoghi della somatostatina, come l’octreotide ed il lanreotide, una classe che conosciamo e usiamo, soprattutto in endocrinologia, ormai da tanti anni, per il controllo dell’ipersecrezione ormonale nei pazienti portatori di adenoma ipofisario secernente l’ormone della crescita (GH). Fino a poco tempo fa venivano gli analoghi della somatostatina venivano utilizzati solo nei NET secernenti per controllare l’ipersecrezione ormonali ed i sintomi correlati. Recentemente è stato approvato l’ampliamento dell’utilizzo anche nei NET non secernenti. Ancora più recente è l’ipotesi – i dati sono stati presentati ai congressi ma non ancora pubblicati – che gli analoghi della somatostatina a dosaggi non standard ma ad “alti dosaggi” sembrerebbero avere effetti di controllo sulla proliferazione neoplastica con stabilizzazione di malattia ed in rari casi anche di parziale regressione. Ci sono poi anche nuove classi di farmaci, quelli a bersaglio molecolare, come sunitinib ed everolimus, inibitori delle tirosin chinasi il primo, ed inibitore del sistema MTOR il secondo, che colpiscono una parte precisa della cellula tumorale e hanno avuto il risultato di aumentare ulteriormente la sopravvivenza dei pazienti, anche se a fronte di una tossicità diversa rispetto agli analoghi e che va gestita in modo specifico.
Infine un grosso aiuto ci arriva anche da nuovi traccianti utilizzati in medicina nucleare, come ad esempio il Rame che ha dimostrato di essere più specifico e sensibile rispetto al Gallio 68 e molto più maneggevole e utilizzabile tanto in fase diagnostica quanto terapeutica.
I medici di base sono preparati alla diagnosi, o almeno a farsi venire un sospetto e mandare il paziente dal giusto specialista?
Purtroppo in questo c’è una certa difficoltà e bisognerebbe fare molto lavoro, una difficoltà anche dovuta al fatto che comunque siamo parlando di tumori rari ed eterogenei. Di fronte ad un improvviso diabete, a sintomi metabolici o anche crisi ipoglicemiche e conseguenti crisi epilettiche difficilmente si pensa anche alla possibilità di un NET imputando tali sintomi ad altre condizioni ritardando in questo modo la giusta diagnosi di NET. Ma anche quando c’è il sospetto bisogna capire bene dove mandare il paziente: questo tipo di tumori hanno bisogno di un approccio multidisciplinare, pena il ritardo diagnostico e conseguente ritardo nella terapia.
La chiave della lotta contro i NET passa dunque da équipe multidisciplinari, che lavoro si sta facendo in tal senso?
Per offrire il meglio al paziente è necessario che il gruppo comprenda più specialisti quali un endocrinologo, un chirurgo, un oncologo, un anatomopatologo ed un medico nucleare. Poi, secondo la specifica localizzazione del tumore, possono servire altri specialisti, come il gastroenterologo, il chirurgo toracico, l’endoscopista. L’importanza della multidisciplinarietà e di mandare i pazienti nei centri esperti è stato riconosciuto anche dalla Società Europea di Endocrinologia (ENETS) che recentemente ha stabilito una serie di parametri minimi: i centri che li rispettano possono essere elencati in una rete di ‘eccellenze’, ma in questo occorre non essere troppo rigidi: si tratta di un riconoscimento importante ma è anche vero che ci sono ottime strutture che non sono ancora state inserite.
Nel Lazio qual è la situazione?
Nel Lazio il Gemelli e il Sant’Andrea hanno effettuato un gemellaggio e sono stai unificati sotto un unico centro di eccellenza ENETS. L’IFO, nella persona del Commissario Straordinario Dr.ssa Marta Branca, ha recepito l’esigenza ed ha recentemente creato un gruppo multidisciplinare (DMT Neoplasie Neuroendocrine) che coordino personalmente: al momento stiamo cercando di creare anche una rete interospedaliera. Il numero di pazienti trattati e le nuove diagnosi fatte sono importanti, perché soprattutto quando si parla di tumori rari, è necessario avere una certa esperienza.
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