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La video-testimonianza di Antonio Guzzo nell’ambito della campagna “RaccontAMY”: “Quando ho scoperto di avere la patologia sono stato molto in ansia per i miei figli”

Moncalieri (Torino) – Antonio Guzzo ha 73 anni ed è sempre stato uno sportivo: ora, per l'età, ha dovuto abbandonare il tennis ma continua a praticare lo sci e il nuoto, oltre a tante camminate. “Undici anni fa sono stato operato di tunnel carpale, e nel fare gli esami di routine, fra cui l'ecocardiogramma, i medici hanno scoperto che avevo il ventricolo sinistro ingrossato”, spiega. “Dopo la diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica ho fatto una risonanza magnetica, da cui risultava la compatibilità con una malattia che non avevo mai sentito nominare, l'amiloidosi cardiaca. Poi, con la scintigrafia ossea, è arrivata la conferma”.

Quello di Antonio Guzzo è il quarto dei cinque video di cui è composta la campagna digital “RaccontAMY – Chi vive l’amiloidosi cardiaca ha qualcosa da dirti”, promossa dall’Osservatorio Malattie Rare e dalle associazioni fAMY, Conacuore e Fondazione Italiana per il Cuore, con il contributo non condizionante di Pfizer. Le amiloidosi sono un gruppo di patologie rare, invalidanti e spesso fatali, caratterizzate dall’accumulo dannoso di sostanza amiloide all’interno dell’organismo. Esistono diverse forme di amiloidosi, ognuna delle quali è dovuta ad una specifica proteina difettosa, che nel tempo compromettono la funzionalità di numerosi organi e tessuti: cuore, reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici e occhi. Il cuore, in particolare, è l’organo bersaglio in cui l’amiloide si deposita più frequentemente, provocando una condizione chiamata “amiloidosi cardiaca, che si manifesta con un grave quadro di scompenso cardiaco.

Un altro momento drammatico è stato quando mi hanno comunicato della possibile ereditarietà della malattia: ero molto preoccupato per i miei figli”, sottolinea Guzzo. “Il giorno che ho ritirato il referto ero tentato di strapparlo senza leggere il risultato, ma poi ho capito che dovevo fare i conti con la realtà. E quando ho letto che non si trattava di una forma ereditaria, sono scoppiato in un pianto liberatorio”, conclude. “L'amiloidosi, fino ad oggi, non mi determina, né tantomeno mi lascio definire da essa: io non sono la mia malattia, io sono Antonio”.

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