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Nella malattia con coinvolgimento sia neurologico che cardiaco la prognosi è generalmente peggiore: sono quindi necessarie visite di controllo più frequenti

Roma – L’amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR) è una malattia estremamente eterogenea dal punto di vista fenotipico, e tra le varie forme in cui si manifesta, quella caratterizzata da un coinvolgimento sia neurologico che cardiaco sembra essere associata a un outcome peggiore. Fino ad oggi, in letteratura, non esistevano delle chiare indicazioni per la corretta gestione del paziente con questo fenotipo, chiamato “misto”, e il compito di fornire risposte ai tanti interrogativi è stato affidato a un gruppo di clinici italiani con comprovata esperienza della malattia.

Le amiloidosi sono condizioni caratterizzate dall’accumulo dannoso di fibrille amiloidi negli spazi extracellulari di differenti organi e tessuti, di cui progressivamente compromettono la funzionalità. Una delle forme più rilevanti dal punto di vista epidemiologico e clinico è l’amiloidosi da transtiretina (ATTR). Nella maggior parte dei casi, questa patologia è idiopatica (ossia di causa sconosciuta): parliamo della forma chiamata “wild-type”, che colpisce quasi esclusivamente gli uomini con più di 60 anni (91–97% dei casi) e provoca per lo più manifestazioni cardiache e muscoloscheletriche. La forma ereditaria (hATTR) è invece causata da mutazioni nel gene della transtiretina (TTR), si trasmette con modalità autosomica dominante e ha esordio in età adulta.

La hATTR è una condizione rara che colpisce circa 50.000 pazienti in tutto il mondo. È una patologia sistemica progressiva, che causa una polineuropatia sensitivo-motoria, spesso con coinvolgimento del sistema nervoso autonomo, e una cardiomiopatia infiltrativa, con esito fatale entro 4–15 anni dall’esordio, se non trattata. Sebbene sia stata a lungo definita come una patologia non trattabile, negli ultimi anni lo scenario terapeutico è cambiato significativamente grazie alla crescente disponibilità di farmaci in grado di agire sugli eventi molecolari che mediano il processo di formazione di sostanza amiloide: alla luce di questi recenti sviluppi, la corretta e tempestiva diagnosi assume un ruolo centrale per impostare una terapia efficace e aumentare la sopravvivenza dei pazienti, oltre che per offrire un'adeguata consulenza genetica ai familiari a rischio.

Su questi temi si sono confrontati nove esperti: Marco Canepa, Francesco Cappelli, Giuseppe Limongelli, Marco Luigetti, Fiore Manganelli, Anna Mazzeo, Davide Pareyson, Stefano Perlini e Laura Obici. L'attività di consensus, supportata da Alnylam Pharmaceuticals, si è svolta tramite il metodo Nominal Group Technique (NGT) e i risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Drugs in Context.

Tradizionalmente, nella hATTR si definiscono tre fenotipi clinici”, scrivono gli autori dell'articolo. “Il primo è caratterizzato da un coinvolgimento quasi esclusivamente neurologico (autonomico/periferico e in casi molto rari anche del sistema nervoso centrale) il cui quadro può talvolta mimare altre neuropatie, fra cui la polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP). Il secondo fenotipo è caratterizzato da una presentazione prevalentemente cardiologica e ha delle somiglianze con altre cardiomiopatie, in particolare la cardiomiopatia ipertrofica sarcomerica. Il terzo fenotipo è definito misto per la presenza di un coinvolgimento sia neurologico che cardiologico. Altri possibili fenotipi sono quello oculare, leptomeningeo e renale, che di solito si associano al fenotipo misto o neurologico”, proseguono i clinici italiani.

Per questi motivi il confronto fra gli esperti ha evidenziato l’importanza della diagnosi differenziale, mettendo il test genetico al centro di questo processo, e la rilevanza di un percorso diagnostico-assistenziale multidisciplinare, soprattutto per quanto riguarda la corretta individuazione e gestione del fenotipo misto. È emerso che i principali fattori che contribuiscono alla definizione della prognosi sono il genotipo, lo stadio neurologico alla diagnosi, il coinvolgimento cardiaco e la velocità di progressione della patologia. Il gruppo, inoltre, ha concordato sul fatto che, durante il follow-up, ogni paziente dovrebbe essere sottoposto a una valutazione completa del coinvolgimento d’organo attraverso un approccio multidisciplinare, utile soprattutto a verificare tempestivamente l’insorgenza di un fenotipo misto. Il tempo tra una visita di controllo e l’altra, infine, dovrebbe essere di circa 6 mesi e di non più di 9 mesi, a meno di situazioni che suggeriscano la necessità di monitoraggi più ravvicinati, come ad esempio una diagnosi di fenotipo misto.

“È importante considerare che recenti evidenze hanno dimostrato la presenza di polineuropatia anche in mutazioni classicamente considerate come associate a fenotipo cardiologico e, viceversa, sintomi cardiaci in presenza di mutazioni considerate a fenotipo neurologico, sottolineando come il coinvolgimento sia spesso multisistemico. Questo ampio spettro di manifestazioni cliniche rende particolarmente difficile il sospetto diagnostico e può quindi ritardare l’indicazione all’approfondimento genetico”, concludono gli specialisti.

Il ritardo diagnostico è infatti ancora molto significativo nei pazienti con hATTR: si stima che si aggiri intorno ai quattro anni per le forme neuropatiche, ma può arrivare fino a otto per quelle cardiache, con conseguenti ricadute sulla prognosi. In particolare, l’identificazione del fenotipo misto risulta di fondamentale importanza per la corretta gestione del paziente e l’accesso a cure mirate, soprattutto alla luce di alcuni studi che hanno mostrato come il coinvolgimento neurologico associato a interessamento cardiaco abbia un significato prognostico negativo. Nel fenotipo misto, rispetto a quello cardiologico, è stata infatti osservata una maggiore probabilità di manifestazione di eventi cardiaci avversi.

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