Il dr. Giuseppe Vergaro (Pisa): “In tre diverse analisi del trial HELIOS-B è stata valutata la capacità del farmaco di contrastare il danno cardiaco correlato alla patologia”
Pisa – L'amiloidosi da transtiretina (ATTR) è una malattia rara legata al “misfolding”, cioè al ripiegamento errato, di una proteina secreta per la maggior parte nel fegato, chiamata appunto transtiretina. Il misfolding può essere legato alla presenza di una mutazione genetica, che predispone a questo meccanismo patologico, oppure a delle condizioni probabilmente legate all'età e indipendenti dalla presenza di un’anomalia del DNA. Come spiega il dr. Giuseppe Vergaro, cardiologo della Fondazione Monasterio e ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, queste proteine mal ripiegate si accumulano e si depositano sotto forma di sostanza amiloide nell'interstizio di vari organi e tessuti – soprattutto nei nervi e nel cuore – compromettendone la struttura e la funzione.
Per la forma ereditaria di amiloidosi da transtiretina è stato approvato anche in Italia, nell'agosto del 2023, un farmaco che agisce bloccando questa cascata amiloidogenica, il vutrisiran. A differenza di altri farmaci che sono già stati approvati per il trattamento dell'amiloidosi cardiaca da transtiretina, vutrisiran – che appartiene alla categoria dei siRNA (small interfering RNA) – interviene riducendo la sintesi di transtiretina a livello epatico: silenziando il gene, impedisce che venga prodotta la proteina responsabile della malattia.
“Questo meccanismo d'azione ha una base concettuale, fisiopatologica, ma ha anche un riscontro oggettivo nella clinica, perché in effetti i pazienti che vengono trattati con vutrisiran vedono un abbattimento nelle concentrazioni circolanti di transtiretina. Altri farmaci, ad esempio, stabilizzano il tetramero della transtiretina impedendo che si dissoci in monomeri e che questi, mal ripiegati, si accumulino sotto forma di amiloide. Vutrisiran, invece, agisce più a monte, riducendo la sintesi di transtiretina”, sottolinea Vergaro.
Il meccanismo d'azione del farmaco è lo stesso del suo 'predecessore', il patisiran, ma con alcune differenze sostanziali per i pazienti. Quella più importante è il metodo di somministrazione: il patisiran richiede un'infusione endovenosa ogni tre settimane, mentre il vutrisiran può essere somministrato per via sottocutanea, fra l'altro con intervalli di tempo di alcuni mesi, quindi ben superiori rispetto a quelli impiegati per il patisiran.
A dimostrare il potenziale di vutrisiran è stato il trial di Fase III HELIOS-B, uno studio condotto in doppio cieco in cui 655 pazienti con diagnosi di amiloidosi cardiaca da transtiretina sono stati randomizzati a ricevere un placebo oppure il trattamento con il farmaco sperimentale, somministrato con un'iniezione sottocutanea ogni 3 mesi per un periodo complessivo di 36 mesi. “L'endpoint primario era composito: una combinazione di morte per tutte le cause e di eventi cardiovascolari ricorrenti. C'erano poi diversi endpoint secondari: alcuni scorporavano l'endpoint primario, mentre altri valutavano le variazioni in alcuni parametri che tracciano la capacità funzionale del paziente (per esempio il test del cammino in 6 minuti) o la sua qualità di vita (come il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire)”, prosegue il dr. Vergaro.
“Un altro aspetto interessante del disegno di questo trial è che c'era un gruppo non trascurabile di pazienti che erano già in trattamento con il farmaco approvato da tempo per il trattamento dell'amiloidosi cardiaca da transtiretina, il tafamidis. I risultati clinici di questo trial sono stati veramente molto robusti, perché tutti gli endpoint, sia primari che secondari, sono stati raggiunti: vutrisiran ha dimostrato di poter ridurre il rischio di morte per tutte le cause e di eventi cardiovascolari ricorrenti, e quando l'analisi ha scorporato ciascuno degli endpoint secondari, anche in quel caso il farmaco è risultato superiore al placebo. Il declino nella distanza percorsa in 6 minuti, ad esempio, era molto meno accentuato nel gruppo vutrisiran rispetto al gruppo placebo, e non c'è stata nemmeno una grande differenza per quanto riguarda gli eventi avversi. È quindi un segnale solido del fatto che questa terapia sia molto promettente”, continua l'esperto.
Oltretutto, HELIOS-B è un trial che è stato condotto in una popolazione relativamente moderna di pazienti: “L'epidemiologia e le caratteristiche dei pazienti sono cambiate moltissimo, anche nell'arco degli ultimi dieci anni. I pazienti sono più giovani e vengono intercettati più precocemente, in fasi di malattia meno avanzate rispetto al passato. Questo, da una parte, accade perché fortunatamente è aumentata la consapevolezza da parte dei clinici e sono migliorate le nostre capacità diagnostiche. Dall'altra, il fatto che vutrisiran sia stato efficace in una popolazione meno grave rispetto a quella arruolata in altri trial precedenti è un ottimo segno: è più semplice, infatti, dimostrare il beneficio di un farmaco quando la popolazione di pazienti è ad alto rischio”.
A irrobustire le evidenze sull'efficacia del farmaco ha contribuito la recente pubblicazione di tre analisi post-hoc del trial HELIOS-B, che avevano l'obiettivo di esplorare l'effetto della terapia sull'andamento di alcuni parametri importanti nel tracciare la progressione di malattia. “La prima ha evidenziato che vutrisiran riduce il rischio di “outpatient worsening heart failure”, cioè un peggioramento dello scompenso cardiaco che però non richiede necessariamente l'ospedalizzazione. Parliamo di pazienti che iniziano ad avere un declino, e che magari richiedono l'introduzione o l'intensificazione di una terapia diuretica”.
La seconda analisi ha riguardato i biomarcatori circolanti: quando il cuore è esposto a un danno, vengono prodotte e liberate nel circolo sanguigno due molecole, NT-proBNP e troponina. “Queste due sostanze sono cronicamente elevate nei pazienti con amiloidosi, e tendono ad aumentare con il progredire della malattia. L'analisi ci dice che vutrisiran, rispetto al placebo, tende a ridurre la progressione verso l'incremento sia di NT-proBNP che di troponina, quindi per certi versi stabilizza e ‘cristallizza’ la malattia. Questo effetto è evidente anche considerando solo la popolazione in monoterapia con vutrisiran, cioè escludendo quei pazienti che, nell'ambito dello studio, erano trattati anche con tafamidis”.
Quanto avviene con i biomarcatori è stato rilevato anche per l'aspetto ecocardiografico, preso in esame dalla terza analisi. “Nei pazienti con amiloidosi cardiaca c'è un consistente e progressivo peggioramento dei parametri ecocardiografici, anche di quelli più fini che leggono la deformazione delle camere cardiache, in particolare della camera ventricolare sinistra. I pazienti trattati con vutrisiran, rispetto a quelli trattati con placebo, avevano un peggioramento meno evidente in questi marcatori di imaging”, conclude il dr. Vergaro. “Ancora una volta, quindi, un aspetto coerente con l'ipotesi che questo farmaco riesca a stabilizzare la malattia in maniera efficace”.
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