Luca Montagna, testimonial della campagna Miles for Haemophilia: “l'importante, per un atleta emofilico, non sono solo la costanza e la tenacia, ma anche la capacità di ascoltare i segnali del proprio corpo, riconoscerne i limiti e, nel caso, fermarsi”
Parma – Luca Montagna ha 53 anni ed è affetto da emofilia A lieve. È presidente dell'A.V.E.S. di Parma (Associazione Volontariato Emofilici e Similemofilici) e fa parte anche del direttivo nazionale di FedEmo. Ha un'azienda che produce caffè, e gran parte del suo tempo libero lo dedica allo sport: in passato il tennis e il baseball, a volte il ciclismo, e oggi prevalentemente la corsa. “Lo sport per me è stato molto importante, perché mi ha insegnato nel tempo a riconoscere i segnali che il corpo mi lancia, e soprattutto a vivere meglio nonostante la mia patologia”, racconta.
Luca ha sempre praticato la corsa a livello amatoriale, con un gruppo di amici, ma negli ultimi anni il suo impegno è cresciuto, fino a renderlo capace di concludere per ben due volte l'obiettivo di tutti i podisti, la maratona di New York: la prima nel 2015, insieme ad altri sette atleti emofilici, e l'ultima quest'anno. Un'impresa che ha avuto bisogno di una scrupolosa preparazione, sia dal punto di vista atletico, con allenamenti costanti ed esercizi posturali in palestra, che da quello della corretta alimentazione: sforzi che nell'edizione 2017 hanno ripagato il corridore con un tempo migliore – di oltre mezz'ora – rispetto al primo tentativo.
“Da quando faccio sport, il mio fisico è indubbiamente più tonico e reagisce meglio anche alle problematiche dell'emofilia: mi sento molto più forte, ho ridotto i microtraumi e non avverto dolore alle articolazioni o ai muscoli. In passato ho avuto pochi episodi emorragici, e non ho bisogno di fare la profilassi: data la mia forma lieve, ho scelto il trattamento on demand”, prosegue.
Luca è uno dei testimonial della campagna 'Miles for Haemophilia: your personal best', promossa da Pfizer con il patrocinio di FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici) e Fondazione Paracelso. L'iniziativa ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sull'emofilia e sostenere la pratica dello sport in sicurezza tra i pazienti, soprattutto bambini e giovani adulti.
“Non sono certo il primo a scoprire che lo sport fa bene al corpo e allo spirito, ma i genitori dei bambini emofilici sono a volte un po' troppo protettivi e tendono a far vivere i figli dentro una campana di vetro”, sottolinea. “Certo, da ragazzi c'è il desiderio di fare quello che non si può fare, ovvero gli sport da contatto come la boxe, le arti marziali, il rugby e soprattutto il calcio, che sarebbe da evitare ma aiuta molto la socializzazione; mentre il nuoto, che tradizionalmente è il più consigliato dai medici, viene considerato noioso. Quello che mi sento di suggerire ai più giovani, però, è di consultare il proprio Centro Emofilia di riferimento e discutere con un medico la scelta riguardo allo sport che si intende praticare”, conclude Luca.
“L'importante, per un atleta emofilico, non sono solo la costanza e la tenacia, ma anche la capacità – che si acquisisce con l'esperienza – di ascoltare i segnali del proprio corpo, riconoscerne i limiti e, nel caso, fermarsi”. Luca, però, con la dovuta cautela, non si ferma: si sta già preparando per la prossima maratona.
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