Ingannare il sistema immunitario potrebbe essere la soluzione ideale per migliorare il trasferimento della terapia genica alle cellule
Un team internazionale di ricercatori guidato da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e Professore presso l’Università Vita Salute San Raffaele a Milano, ha messo a punto una tecnica per il trasferimento della terapia genica per il trattamento dell’emofilia. La terapia genica fornisce alle cellule dei pazienti emofilici l’informazione genetica corretta, cioè il gene che permette l’espressione del fattore di coagulazione mancante. La potenzialità terapeutica della terapia genica per questa patologia è già stata dimostrata negli ultimi anni e i risultati di questo studio, pubblicati su Science Translational Medicine, ampliano ulteriormente le possibilità di trattamento.
L’emofilia è una malattia rara del sangue legata alla mancata produzione di fattori di coagulazione del sangue, nello specifico del fattore VIII nell’emofilia A e del fattore IX nel tipo B. La terapia genica è già stata utilizzata per l’emofilia: sono stati utilizzati vettori virali derivati da virus adeno-associati (AAV) che, pur essendo ben tollerati dall’organismo presentano alcune problematiche nell’utilizzo. Tra queste, è abbastanza diffusa una risposta immunitaria nei confronti di questi vettori e, di conseguenza, è necessario sviluppare strategie di trasferimento alternative. Inoltre, gli AAV non integrano il proprio materiale genetico nella cellula target e questo pone ulteriori limiti di utilizzo. I vettori lentivirali (LV), derivati dal virus HIV, potrebbero essere un’alternativa valida.
I ricercatori del SR-Tiget sono riusciti ad aggirare le problematiche degli AAV utilizzando gli LV, modificandoli per renderli ancora più efficienti. Le modifiche si sono rese necessarie perché i vettori lentivirali, pur risolvendo alcune delle problematiche associate ai AAV, sono spesso riconosciuti ed eliminati dai globuli bianchi, prima ancora di arrivare alla cellula e trasferire il materiale genetico. Per evitare che ciò si verifichi è stata applicata sulla superficie dei vettori una proteina – chiamata CD47 – in grado di regolare il processo di eliminazione da parte dei globuli bianchi. La sperimentazione, condotta su primati non umani con mutazione genetica del fattore di coagulazione IX (emofilia B), ha avuto buoni risultati, ma saranno necessari ulteriori studi sulla sicurezza e la validità del trattamento.
Per approfondimenti, leggi la notizia su Osservatorio Terapie Avanzate.
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