La commissione salute della Conferenza Stato Regioni ha stilato le linee guida insieme al Centro Nazionale del Sangue
Oggi è una giornata dedicata a quasi 9.000 persone in Italia: sono gli affetti da coaguolopatie, una serie di malattie – spesso rare – tra la quali quella certamente più nota è l’emofilia. La malattia nella maggior parte dei casi, li costringe ad assumere dei farmaci per tutta la vita o, nei casi più lievi, solo in previsione o in concomitanza di eventi che possono portare a emorragie. Per sottoporsi alle terapie, o almeno a quella parte che il paziente non può effettuare a domicilio – e soprattutto dove non siano stati messi in atto programmi che rendano possibile le terapie a domicilio - è necessario andare in centri specializzati che non necessariamente sono a portata di mano. Nel 22 per cento dei casi – questi sono i dati presentati dalla Federazione delle associazioni emofilici FedEmo a Roma nel corso dell’incontro 'Federalismo e salute: come migliorare l'assistenza ai pazienti emofilici in tutte le Regioni italiane’ – queste persone devono spostarsi anche di 500 chilometri per arrivare ad un centro che garantisca delle cure adeguate. L’assistenza è, insomma, a macchia di leopardo: un effetto collaterale già ben noto del federalismo sanitario. Qualche cosa però potrebbe cambiare. La commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni ha approvato le linee guida organizzative per la programmazione regionale e l'accreditamento istituzionale dei Centri Emofilia sul territorio italiano. A collaborare alla stesura delle linee guida è stato il Centro nazionale sangue. Sono stati elaborati due documenti che ora dovranno essere sottoposti alla Conferenza Stato Regioni e che, se giungessero a buon fine, aiuterebbero ad avere un’assistenza più uniforme su tutto il territorio
“In molte Regioni – ha detto il presidente di FedEmo Gabriele Calizzani - mancano centri in grado di fornire un'assistenza multispecialistica. Ciò costringe i pazienti a spostarsi spesso in località a volte lontane molti chilometri da casa, con grave rischio per la vita del malato in caso di emergenza emorragica. Per ovviare a tale disomogeneità, ci siamo rivolti alla commissione Salute della Stato-Regioni”. Un’azione che sembra aver prodotto il suo primo risultato. La commissione ha infatti stilato anche un secondo documento che fissa i requisiti che devono avere i centri di cura dell'emofilia, distinti in centri di primo e secondo livello e in centri di riferimento: una vera e propria ‘rete nazionale’ fatta su modello di quella nata nel 2001 per le malattie rare.
Resta aperto, per ora, il problema del trattamento domiciliare, poiché nella metà delle Regioni non esiste una legge apposita, che renderebbe la vita di queste persone e delle loro famiglie decisamente migliore dal punto di vista della qualità e che potrebbe in molto casi essere anche un vantaggio in termini di aderenza alla terapia da parte dei malati.
Al convegno della FedEmo è intervenuta anche la senatrice Fiorenza Bassoli, capogruppo Pd in commissione sanità a Palazzo Madama.
“È necessario - ha detto - che il Servizio sanitario nazionale venga adeguato alle esigenze del numero sempre più crescente dei malati di malattie croniche e rare. Per questo occorre investire in ospedali qualificati, sicuri e in rete con i servizi del territorio e con i medici di medicina generale. È poi importante intervenire sui costi standard previsti nel decreto sul federalismo fiscale che, se verranno calcolati sul costo delle singole prestazioni e non sull'appropriatezza e sui risultati della cura, non metteranno il sistema nelle condizioni di curare e mantenere integrati nel territorio e nel sociale i malati emofilici, come invece richiede nello specifico la cura della malattia. Il Pd in difesa dei danneggiati da trasfusione si è battuto contro il taglio all'indennità integrativa speciale che è stato fatto con la legge di stabilità del luglio scorso così come contro la prescrizione delle domande di chi ha accettato la transazione sugli indennizzi. È inoltre indispensabile che venga presto approvata la legge sul rischio clinico perchè prevenire i rischi che vengono dalle cure nei presidi sanitari è il modo migliore per qualificare il Servizio sanitario pubblico e scongiurare ulteriori aggravi fisici per i malati”.
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