La comparsa di inibitori dei fattori di coagulazione rappresenta una grave complicazione nella terapia di sostituzione per la cura dell'emofilia congenita ed è la causa dell'emofilia acquisita, una grave malattia autoimmune che colpisce circa una persona ogni milione all'anno ed è caratterizzata da un alto tasso di mortalità. In entrambi i casi gli auto-anticorpi bloccano l'attività dei fattori della cascata di coagulazione, causando tuttavia emorragie di diverso tipo, nel caso dell'emofilia congenita principalmente a carico delle articolazioni, mentre nell'emofilia acquisita i sanguinamenti sono principalmente a carico di muscoli, pelle e apparato gastrointestinale.
L'anticorpo monoclonale chimerico Rituximab, usato inizialmente in ambito oncologico, attira da tempo l'attenzione della comunità scientifica per la cura delle malattie autoimmuni, avendo come target un antigene presente nei linfociti B maturi ma non nelle cellule del plasma o in quelle staminali ematopoietiche.

In articolo pubblicato recentemente su British Journal of Haematology, il Dr. Massimo Franchini, direttore del Dipartimento di Medicina Trasfusionale e Ematologia dell'Ospedale di Mantova e il Prof. Pier Mannuccio Mannucci, direttore Scientifico dell'IRCCS Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, fanno il punto sulle applicazioni di Rituximab nella cura dell'emofilia, analizzando la letteratura scientifica più recente.

Per quanto riguarda l'emofilia acquisita al momento la terapia più utilizzata si basa su somministrazione di concentrato di complesso pro-trombinico attivato, per il controllo delle emorragie e di terapia immunosoppressiva, al fine di eradicare gli auto-anticorpi.

L'uso di Rituximab si è dimostrato particolarmente efficace nel caso di basse concentrazioni di auto-anticorpi circolanti, mentre casi più gravi è necessario combinarlo con altre terapie immunosoppressive.

Un'analisi di diversi studi, che ha preso in considerazione 65 pazienti affetti da emofilia acquisita curati con Rituximab da solo o in combinazione, riporta il 90 per cento di successo, completo o parziale.
La pubblicazione più importante in questo campo riassume i risultati del Registro Europeo per l'Emofilia Acquisita e coinvolge 51 emofiliaci, i pazienti curati con il solo Rituximab hanno visto miglioramenti nel 42 per cento dei casi, mentre quelli in cui l'anticorpo monoclonale è stato utilizzato in combinazione con corticosteroidi e ciclofosfamide hanno avuto il 70 per cento di successo.

Gli autori propongono quindi un algoritmo di cura e suggeriscono l'uso di Rituximab come terapia di seconda linea, nei casi in cui l'immunosoppressione non dia risultati o sia controindicata.

Parlando invece dell'emofilia congenita la comparsa di inibitori avviene nel 25-30 per cento dei casi di emofilia A e nel 3-5 per cento di emofilia B e rende inefficaci le terapie di sostituzione del fattore carente.
Diversi studi hanno dimostrato l'efficacia di concentrato di complesso pro-trombinico attivato e di FVII ricombinante attivato nei pazienti che presentano inibitori, tuttavia la strategia più efficace resta l'induzione della tolleranza immunologica, che prevede trattamenti con alte dosi di fattore di coagulazione e vanta un tasso di successo tra il 60 e il 90 per cento.

Nel 2009 uno studio inglese ha seguito 15 pazienti con emofilia A curati con Rituximab, di cui 6 hanno avuto un recupero totale e 4 parziale ma con consistenti benefici clinici.
Una meta-analisi ha invece incluso 49 casi e ha dimostrato un recupero completo nel 53 per cento dei pazienti, in particolare in casi da lievi a moderati e in concomitanza con la somministrazione di FVIII ricombinante.
Anche in questo caso gli autori suggeriscono un algoritmo di cura, in particolare consigliano di ricorrere a Rituximab in caso di fallimento dell'induzione della tolleranza immunologica.

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